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Perché il successo di Virginia Raggi non è un voto contro Matteo Renzi

Perché il trionfo di Virginia Raggi e del Movimento 5 stelle a Roma non è il sintomo di un voto di protesta contro Matteo Renzi, ma il segnale di sfiducia verso un’intera classe dirigente che ha governato Roma per vent’anni fino all’esplosione dell’inchiesta mafia capitale.
A cura di Valerio Renzi
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Un risultato al di sopra delle aspettative, anche le più rosee, e la strada spianata verso il ballottaggio. Ma il trionfo di Virginia Raggi e del Movimento 5 stelle nella capitale è un voto contro Matteo Renzi? Da più parti, e dalle ore immediatamente successive alla chiusura dei seggi, si è data questa interpretazione sommando il risultato romano alla debacle del Pd a Napoli e ai risultati al di sotto delle aspettative di Beppe Sala a Milano e di Piero Fassino a Torino.

Eppure se il premier e segretario di partito non esce da vincitore dal primo turno delle elezioni amministrative, bisognerebbe avere l'accortezza di guardare al voto città per città. Perché ad essere sconfitta a Roma è stata prima di tutto la classe dirigente di centrosinistra, travolta da mafia capitale (chi perché indagato chi perché non sapeva e non vedeva cosa accadeva), e più in generale un'intera classe politica che lascia una città senza un'idea se stessa, dove i mezzi pubblici sono al collasso e gli scioperi dei dipendenti comunali all'ordine del giorno.

Il candidato dem Roberto Giachetti, costretto ad un'improbabile rimonta al secondo turno, se l'è presa con l'operato della giunta di Ignazio Marino, oltre che con le macerie lasciate dalle inchieste giudiziarie. Ma quello che è avvenuto è qualcosa di più profondo: una sfiducia nella capacità di chi ha governato finora, a destra come a sinistra, di risolvere i problemi materiali della città. Buche, trasporti, raccolta dei rifiuti, servizi sociali: un peggioramento reale della vita materiale con cui i romani sono costretti a fare i conti ogni giorno. Anche così si spiega la valanga dei voti ai 5 Stelle negli storici bastioni "rossi", che fino al 2013 hanno continuato a votare come quando c'era il Pci.

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Ma i meriti del successo pentastellato non sono solo dell'avversario, il M5s a Roma più che altrove (vedi i casi di Napoli e Milano), ha costruito una propria fisionomia, un proprio gruppo dirigente riconosciuto. (come dimostrano le preferenze a Marcello De Vito ex capogruppo in Campidoglio). Nella capitale più che altrove il MoVimento è diventato un partito "come gli altri". Ma a differenza dei partiti di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati in Campidoglio da dopo Tangentopoli ad oggi, hanno un vantaggio decisivo: non hanno mai governato la città. E tanti cittadini hanno così deciso di rispondere all'appello lanciato da subito dopo la deflagrazione dell'inchiesta su mafia capitale: "Ora fate provare noi".

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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