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La rivolta contro i Casamonica è partita dai “romeni di merda” non dai romani

Ancora una volta la rivolta contro le mafie in Italia parte dai cittadini migranti. Nella capitale a rivoltarsi contro i Casamonica sono una coppia di romani di origine romena, che hanno tenuto testa ai boss del clan Casamonica – Di Silvio nonostante la violenza e le minacce.
A cura di Valerio Renzi
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"Questi romeni di merda non li sopporto proprio". Così, poco prima dell'aggressione, si esprimeva uno degli esponenti del clan Di Silvio – Casamonica finiti in carcere. E sono stati proprio loro, i romeni di merda, ad accendere la miccia della ribellione contro le mafie. La capitale d'Italia, dove la mafia c'è, controlla interi quartieri trasformandoli in piazze di spaccio, ma non si dice. Marian è il titolare del Roxy Bar, in via Salvatore Barzilai alla Romanina, che gestisce assieme alla moglie. È stata proprio lei a convincerlo a denunciare i boss del clan, anche quando Enrico Casamonica è venuto a fare la pace a modo suo: è arrivato al bancone, ha ordinato un caffé e ha consigliato a Marian di ritirare la denuncia. Se lo avesse fatto non sarebbe successo nulla, altrimenti il boss promette la pena di morte.

La saracinesca del locale si abbassa per qualche giorno ma Marian e la sua famiglia decidono di andare avanti, di esigere che chi è entrato nel loro bar per mostrare il proprio potere, pretendendo di essere serviti per primi dai romeni di merda, paghi per il terrore che ha voluto imporre. Ancora una volta sono cittadini migranti a ribellarsi ala mafia. È successo con la rivolta di Rosarno otto anni fa, e succede nelle campagne di Foggia e Latina dove i braccianti si rivoltano ai caporali, così come è accaduto a Castel Volturno quando la comunità nigeriana è stata vittima di una strage ordinata dai Casalesi. A Palermo la novità è che a dire no al pizzo sono soprattuto commercianti bengalesi.

Il tessuto sociale delle periferie di Roma è stato devastato dalla crisi. L'abbandono scolastico è ben oltre il livello di guardia, la disoccupazione è endemica. Le mafie offrono un lavoro da pusher e da vedetta ai ragazzini, nelle piazze organizzate sul modello di Scampia, mentre insospettabili fanno la "retta", ovvero nascondono la droga e quant'altro in casa in cambio di denaro. Come da copione: dove le opportunità mancano, l'economia criminale offre un'alternativa che per molti è una scelta obbligata. I cittadini di Roma vivono in una città mafiosa, ma non tutti sembrano riconoscere la mafia come tale: è come se gli italiani avessero più difficoltà a vederlo e quindi a reagire. Non è poi tanto strano se il ‘negazionismo' sulla presenza della mafia in città è stato sostenuto anche dalle istituzioni fino all'altro ieri. Gli altri romani invece, quelli che vengono da fuori, sembrano riconoscere subito la violenza e la prepotenza dei mafiosi.

Marian e sua moglie forse non avevano idea di stare accendendo la miccia di una piccola rivolta contro la mafia a Roma, la prima. La rivolta delle tantissime persone che da ieri affollano il Roxy Bar per un caffé o uno spritz, gente del quartiere, cittadini arrivati per conoscere chi ha sfidato il potere dei Casamonica, non di due tirapiedi qualsiasi, ma di gente che comanda, che è abituata ad esigere e ottenere "rispetto", a dettare legge e a essere temuta.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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