Nessuna rimonta: Roberto Giachetti e il Partito democratico hanno perso inequivocabilmente le elezioni comunali nella capitale. Virginia Raggi è il nuovo sindaco di Roma. Non ci sono "se" ne "ma" di consolazione, perché è davvero difficile indorare la pillola di una sconfitta così pesante. Un'intera classe dirigente che ha governato la capitale quasi ininterrottamente per 25 anni, tolta la parentesi della giunta di Gianni Alemanno, è stata spazzata via. Solo 7 i seggi conquistati dai dem in aula Giulio Cesare.
Ad essere stato sconfitto in maniera inequivocabile è stato il "partito dei notabili", dei signori delle tessere, degli accordi bipartisan per spartire interessi e dividersi influenze e prebende. Un partito che, anche nel caso di molti dirigenti che non sono stati direttamente coinvolti nello scandalo di Mafia Capitale, ha creato le condizioni affinché anche il centrosinistra fosse coinvolto in quel verminaio di rapporti opachi, se non quando di corruzione tra politica, economia e criminalità organizzata.
Nel suo ultimo libro "Non si piange su una città coloniale" Walter Tocci, senatore dem dal 1985 al 1993 consigliere comunale, poi vicesindaco e assessore con Francesco Rutelli, racconta quel "partito dei notabili" uscito sconfitto dalle elezioni e travolto dallo tsunami di Mafia Capitale. Un partito fatto da consiglieri che si trasformano in rappresentanti di interessi particolari, notabili appunto che "organizzano reti di consenso personale alimentate dalla gestione della cosa pubblica". Un processo che, seppur ha radici lontane, avrebbe avuto secondo Tocci una grande accelerazione con la nascita del Pd, con l'idea del "partito leggero".
Notabili che inseguono esclusivamente la loro rielezione e che hanno tenuto in ostaggio un partito che non riesce più a selezionare la propria classe dirigente, pronti a salire sul carro del vincitore ad ogni giravolta politica, pur di assicurare la continuità del loro potere personale. Esponenti politici che di volta in volta sono stati veltroniani, bersaniani e renziani. Che sono passati con disinvoltura dal centrodestra al Pd quando il vento ha girato.
La stagione del commissariamento non ha aiutato poi a voltare pagina. Il potere avocato a se da Matteo Orfini non ha impedito che una discussione interna andasse fino in fondo, portando magari ad un radicale rinnovamento del gruppo dirigente. Invece di una fase di discussione democratica si è aperta una stagione segnata da un forte dirigismo teleguidata a distanza dal premier e segretario Matteo Renzi. Da Palazzo Chigi non si è però mai esposto in prima persona nei guai del Pd romano, nella stessa identica maniera con cui non ha mai messo la faccia negli scandali del Pd a Napoli e in Campania, tenendosene a debita distanza.
Ora questo partito è stato forse spazzato via per sempre, lasciando al suo posto soltanto macerie: il Partito democratico a Roma ha perso non solo perché ha pagato la sfiducia dei cittadini dopo lo psicodramma che ha portato alle dimissioni di Ignazio Marino e lo tsunami Mafia Capitale, non solo perché è stato penalizzato nella polarizzazione del voto in un referendum pro o contro Renzi, ma soprattutto perché non è stato in grado di proporsi come il rappresentante dei bisogni di nessun settore della popolazione. Al contrario il Movimento 5 stelle si è fatto portatore, almeno nell'immaginario collettivo, degli interessi generali contro quelli particolari, dei cittadini tutti contro i poteri forti della città.
Se Mafia Capitale ha portato alla luce un modello di gestione privatistico della cosa pubblica, in cui cricche politico/economiche erano in grado di determinare la gestione di interi settori della vita sociale, piegandoli ai propri interessi, il "mattone" ha dettato lo sviluppo della città negli ultimi 30 anni. Da oggi a Roma, oggettivamente, con un consiglio comunale composta da 29 consiglieri del Movimento 5 stelle, quasi tutti debuttanti, si apre una nuova fase. Una sfida anche per il Partito democratico, per ricostruire dall'opposizione una rappresentanza politica che non sia fondata sulla forma del "notabilato", delle filiere di interessi particolari, che non preveda l'utilizzo della cosa pubblica per mantenere il potere e rafforzare la propria clientela.