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Mafia Capitale: “Con Alemanno salto di qualità”, scrivono i giudici del Riesame

Rese note le motivazioni con cui il Tribunale del Riesame ha rigettato la richiesta di scarcerazione per cinque imputati nell’inchiesta su Mafia Capitale. I giudici: “Carminati il capo indiscusso” e poi “con Alemanno il salto di qualità”.
A cura di Valerio Renzi
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Rese note le ragioni con cui il Tribunale del Riesame di Roma ha respinto la richiesta di scarcerazione per cinque indagati nell'inchiesta su Mafia Capitale, tra cui l'ex Nar Massimo Carminati. Così i giudici descrivono il sodalizio criminale: "A Roma operava da anni una organizzazione strutturale di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti con attività che si estendevano in diversi campi: propriamente criminale, economico e della pubblica amministrazione". Un'organizzazione al cui vertice ci sarebbe stato un capo indiscusso, proprio Carminati detenuto attualmente nel carcere di Parma in regime di 41 bis, il carcere duro applicato ai boss mafiosi. "Una ramificata organizzazione – scrivono i giudici –  della quale Massimo Carminati (ex estremista nero) è il capo e il riconosciuto punto di riferimento degli altri sodali".

Con Alemanno il salto di qualità

La sentenza descrive poi l'evoluzione dell'organizzazione che se "operava inizialmente in un ristretto ambito territoriale nel settore delle estorsioni, dell'usura, delle rapine e delle armi, con base presso il distributore di carburanti gestito da Roberto Lacopo", con l'arrivo di Gianni Alemanno in Campidoglio fa un salto di qualità, "si apre a nuove prospettive" rivolgendo le sue attenzioni al settore economico e alla pubblica amministrazione. "Le ragioni di tale espansione devono essere ricondotte, in primo luogo, al fatto che, a seguito della nomina di Alemanno quale sindaco di Roma, molti soggetti collegati a Carminati da una comune militanza politica nella destra sociale ed eversiva e anche, in alcuni casi, da rapporti di amicizia, avevano assunto importanti responsabilità di governo e amministrative nella capitale", si legge senza mezzi termini nelle parole messe nero su bianco dal collegio di giudici presieduto da Bruno Azzolini. che ribadisce l'impianto accusatorio costruito dalla procura imperniato sull'accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso.

Carminati il boss indiscusso

Il dispositivo in cui sono contenute le motivazioni del rigetto della scarcerazione per i cinque imputati ribadisce l'impianto accusatorio costruito dalla procura imperniato sull'accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso "in cui tutti i singoli sono perfettamente consapevoli di far parte di un sodalizio durevole e di operare per l'attuazione del programma criminoso comune".  I I giudici descrivono poi approfonditamente il ruolo di Massimo Carminati, responsabile di "vari settori operativi dell'organizzazione così da una parte controlla il settore propriamente criminale avvalendosi della collaborazione di Roberto Lacopo, formale gestore di un distributore di benzina a Corso Francia, di Riccardo Brugia e Matteo Calvio, persone aduse alla violenza". Mentre per gli affari economici Carminati "si avvale della partecipazione criminale di quelli che sono stati definiti imprenditori collusi e cioè di quegli operatori economici che, perfettamente consapevoli della natura dell'organizzazione che fa capo a Carminati e della sua forza di intimidazione e penetrazione anche negli ambienti politico-amministrativi, decidono scientemente di entrare a far parte del suo gruppo per ottenere vantaggi economici".

L'infiltrazione nella pubblica amministrazione

Ma il proprio meglio Mafia Capitale l'avrebbe dato proprio nell'infiltrare e manovrare gli appalti della pubblica amministrazione. "E' nel settore della pubblica amministrazione – scrivono i giudici – che l'organizzazione criminale si manifesta al proprio meglio. In questo campo l'organizzazione opera attraverso le cooperative che fanno capo a Salvatore Buzzi e che detengono una posizione assolutamente dominante negli appalti, in numerosi settori dell'attività del Comune di Roma e di altri minori enti pubblici territoriali, che ottengono attraverso l'opera di corruzione dei pubblici funzionari e/o attraverso la loro intimidazione". In questo campo braccio destro del boss Carminati sarebbe stato senza ombra di dubbio il ras delle cooperative Salvatore Buzzi.

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