Sono elezioni locali, certo. La bassissima affluenza (sotto il 30%) non premia il Movimento 5 stelle. Non c'è dubbio. Eppure il risultato che viene dal voto in III Municipio e in VIII Municipio, non può essere sottovalutato dalla sindaca Virginia Raggi e dalla sua maggioranza in Campidoglio. A due anni dalla vittoria trionfale nella capitale, il M5s racimola appena il 13% a Garbatella e poco meno del 20% a Montesacro, arrivando terzo, escluso da ogni possibilità di tornare al governo nell'immediato
In entrambi casi l'esperienza di una maggioranza grillina è finita in anticipo, portando così i cittadini di nuovo alle urne. In VIII Municipio dopo un anno di continui scontri, tensioni e litigi si è dimesso il presidente Paolo Pace (passato a Fratelli d'Italia), in III lo scorso febbraio Roberta Capoccioni è stata sfiduciata dopo mesi di psicodramma e l'addio di quattro consiglieri alla maggioranza.
Pesano dunque dinamiche legate al MoVimento a livello locale, ma non ascoltare il campanello d'allarme per Raggi potrebbe essere un vero e proprio disastro. Il centrosinistra rinnovato da una nuova spinta civica di cui Giovanni Caudo e Amedeo Ciaccheri sono stati espressione in III e VIII Municipio, e un centrodestra a trazione leghista anche nella capitale, hanno dimostrato di aver trovato un nuova vitalità a Roma nel fare opposizione, e di stare acquisendo nuovo consenso.
Dopo lo choc di Mafia Capitale e il plebiscito del luglio 2016, che ha portato per la prima volta una maggioranza monocolore in aula Giulio Cesare, qualcosa sembra essere cambiato. Rifiuti, trasporti, vivibilità dei territori: questa è l'agenda a cui il governo di Roma deve rispondere e l'annunciata rivoluzione ancora non c'è stata. Così i cittadini tornano ad interrogare i partiti tradizionali e guardo alle novità che l'offerta politica propone. A Raggi e il M5s non basta più dare la colpa a quelli di prima, ricordare la situazione disastrosa ereditata, serve un piano per il futuro: campare di rendita e di annunci non è più possibile.
La crisi di Roma come ‘sistema città' è profonda e non si può certo risolvere da un giorno all'altro. I romani non hanno chiesto a Virginia Raggi di tirare fuori la bacchetta magica al momento della sua elezione, ma hanno confidato in un progetto di cambiamento. In tanti si sono accorti che a mancare è un'idea di città, un disegno per il futuro di Roma, un piano (magari anche di scontro e non solo di confronto istituzionale) per ottenere le risorse di cui la città ha bisogno uscendo così dalle sabbie mobili in cui è invischiata.