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Un anno fa scoppiava Mafia Capitale e nulla è stato più come prima

Un anno fa esplodeva l’inchiesta “Mondo di mezzo” che portava alla luce il sistema criminale denominato come “mafia capitale”. L’inchiesta ha coinvolto ex terroristi neri, politici di centrodestra e centrosinistra, dirigenti pubblici e imprenditori. Un intreccio perverso di interessi per mettere le mani sulla cosa pubblico. E ora nessuno potrà più dire che a Roma la mafia non esiste.
A cura di Valerio Renzi
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Un anno fa esplodeva l'inchiesta "Mondo di mezzo" che portava alla luce il sistema criminale denominato come "Mafia Capitale". Che qualcosa "bollisse" nella pentola della procura di Roma, dopo le inchieste che avevano segnato la stagione di governo di Gianni Alemanno era cosa nota, ma quasi nessuno si aspettava un terremoto di queste proporzioni. Annunciando l'inchiesta che era in arrivo Fanpage parlò di "tempesta perfetta" e così è stato. All'alba del 2 dicembre del 2014 venivano arrestate 37 persone, tra loro ex terroristi neri, esponenti del mondo della cooperazione, manager pubblici, politici di centrodestra e centrosinistra, impiegati e dirigenti comunali.

Dal quel giorno a Roma nulla è stato più come prima. Nessuno ha potuto fare a meno di vedere lo stato di degrado della cosa pubblica, con i partiti ridotti a terminali di filiere di interessi più o meno leciti, e la corruzione come normale metodo di mediazione tra pubblico e privato. Il verminaio scoperchiato dall'inchiesta ha mostrato a tutti i luoghi, ristoranti e bar, dove si incontrava il "mondo di sopra" con il "mondo di sotto", grazie alla mediazione di un "mondo di mezzo" abitato e governato da figure criminali come quella di Massimo Carminati e da faccendieri e imprenditori come Salvatore Buzzi.

Un intreccio perverso tra economia, politica e criminalità, che serviva a determinare soprattutto l'assegnazione delle commesse pubbliche: quando la torta con la crisi si fa più piccola, la posta per accaparrarsene una fetta si alza. Le intercettazioni, soprattutto quelle tra Carminati e Buzzi, il braccio criminale e quello imprenditoriale dell'organizzazione, hanno fatto ascoltare a tutti con crudezza cosa accade nei corridoi dei palazzi, nei ristoranti del centro o nei bar di periferia dove si stringono accordi.

E ora, dopo un anno, la città ha rialzato la testa? Solo ieri le forze dell'ordine sono tornate a bussare alle porte del Campidoglio per un'inchiesta su multe annullate a dirigenti e vip. Sempre ieri dopo otto giorni di sciopero è terminata l'agitazione degli autisti di Roma Tpl che da mesi non ricevevano lo stipendio. Andando a ritroso con il calendario, tra arresti per corruzione e disservizi che stanno mettendo la città in ginocchio, possiamo dirlo con certezza che Roma ancora non ha trovato la strada per risalire la china.

Che Ignazio Marino sia stato sacrificato dal Partito democratico per non aver saputo gestire al meglio la situazione è un fatto conclamato: "Era onesto ma non basta per governare la città", è il mantra che ripetono i dirigenti dem. Ma cosa abbia fatto il Partito democratico di Matteo Renzi, oltre ad accentrare tutte le decisioni nelle mani del commissario del Pd romano Matteo Orfini e mettere la capitale nelle condizioni di essere due volte commissariata, prima dal super prefetto Franco Gabrielli e poi dal commissario straordinario paracadutato da Milano Francesco Paolo Tronca, non è molto chiaro.

Così mentre Roma, intesa come l'insieme dei suoi cittadini, chi la abita a fatica ogni giorno, cerca di trovare una nuova missione per la città, un'identità da ricostruire a partire da bisogni materiali e concreti, nell'aula bunker di Rebibbia dove si celebra il processo per Mafia Xapitale, la magistratura gioca invece la sua sfida: quella di arrivare fino in fondo al processo e di vedere riconosciuto quel reato 416 bis, l'associazione a delinquere di stampo mafioso, anche per la cricca del mondo di mezzo.

Un anno dopo l'esplosione della bomba giudiziaria gli esiti appaiono così ancora incerti, sia dal punto di vista della verità penale ancora tutta da scrivere, sia sull'impatto sul sistema economico e politico della città che sembra in perenne bilico tra spinte alla restaurazione e spinte al cambiamento. Quel che è certo è che nulla è stato più come prima. Chi diceva (e tra loro esimi esponenti dello Stato e delle istituzioni) che a Roma "la mafia non esiste" spera che nessuno si ricordi più di quelle improvvide dichiarazioni: la mafia a Roma c'è e come, c'è Mafia Capitale, frutto dell'incontro tra la criminalità autoctona, politici e "colletti bianchi", ma ci sono anche le organizzazioni criminali "classiche" la mafia siciliana, la camorra, la ‘ndrangheta che a Roma aprono sezioni locali, investono fiumi di denaro e controllano intere porzioni di territorio, in accordo e affari con la malavita locale. Ecco, ora nessuno potrà più dire che non lo sapeva

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