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Perché se si votasse domani a Roma trionferebbe di nuovo il M5s

I primi mesi di Virginia Raggi e del M5s in Campidoglio per molti sono stati una delusione, ma se si tornasse alle urne in pochi mesi il MoVimento trionferebbe ancora.
A cura di Valerio Renzi
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Alessandro Di Battista, Beppe Grillo, Luigi Di Maio in piazza a Nettuno
Alessandro Di Battista, Beppe Grillo, Luigi Di Maio in piazza a Nettuno

I primi mesi del governo del Movimento 5 stelle a Roma forse non sono stati come lo avevano sognato elettori e leader, tanto che la scorsa settimana Virginia Raggi è arrivata sull'orlo del baratro. Dimissioni, azione di governo bloccata, le ombre sull'assessore all'Ambiente Paola Muraro sotto inchiesta. Litigi interni, l'ombra delle correnti e poi le polemiche sulle nomine di uomini vicini ai partiti e sui compensi.

In una manciata di settimane sono venuti al pettine tutti i nodi irrisolti che hanno a che fare con la natura stessa del MoVimento. Eppure la sensazione è che nonostante i molti errori, ammessi anche dai vertici, se si tornasse nel giro di pochi mesi alle urne il M5s trionferebbe nuovamente nella capitale. I quintali di inchiostro che hanno riempito i giornali per raccontare le difficoltà e le contraddizioni della giunta Raggi hanno scalfito solo in minima parte il consenso raccolto dai pentastellati in città.

E questo perché non sono venute meno le condizioni che hanno portato alla vittoria di Virginia Raggi a sindaco di Roma lo scorso giugno, un voto che fuori dalle Mura aureliane è stato un vero e proprio plebiscito per la sindaca. Gli elettori prima che per un programma di governo hanno votato in base ad un sentimento di vendetta e rassegnazione. Vendetta nei confronti dei partiti che hanno saccheggiato la capitale, che hanno trasformato la gestione della cosa pubblica in comitati d'affari. E da questo punto di vista il M5s è ancora vergine nonostante gli errori. "Meglio chi sbaglia e impara rispetto a chi ruba", vox populi dixit. Di rassegnazione perché il Movimento 5 stelle è l'unica alternativa rispetto alla "vecchia politica", e se "vanno male anche loro allora a votare non ci vado più".

Insomma alla maggior parte dei romani sembra interessare poco del direttorio e del mini direttorio, di Taverna, Grillo, Di Maio, Lombardi e Di Battista. Ma anche di quanto guadagnano assessori e staff. Più importante sembra essere la discontinuità con il passato, non spegnere la fiducia nel cambiamento, nella speranza di non dover dire un giorno "sono come tutti gli altri". Gli elettori che hanno portato alla vittoria di Raggi si sono vendicati della vecchia classe politica e sono disposti a farlo ancora: la ferita di mafia capitale ancora non è rimarginata.

Senza contare che centrodestra e centrosinistra, mentre fanno il loro mestiere attaccando il governo pentastellato di Roma dall'opposizione, non sembrano in grado di mettere in campo un'alternativa credibile. Oltre a puntare il dito e criticare ogni mossa, strategia che alla lunga rischia di essere controproducente come ha fatto notare lo stesso premier Renzi invitando i suoi ad abbassare i toni contro Raggi, la classe politica che ha governato la città dalla fine della Prima Repubblica non sembra in grado di rientrare in sintonia con la città.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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