Una relazione di undici pagine consegnata la scorsa settimana alla Commissione delle Elette di Roma Capitale, con oggetto l'attività svolta dalla Casa Internazionale delle Donne, redatta e firmata da sei esponenti del Movimento 5 stelle, le consigliere comunali Simona Donati, Donatella Iorio, Monica Montella, Maria Agnese Catini, Valentina Vivarelli e Carola Penna. Un'iniziativa nata dopo l'allarme sullo sfratto della Casa dello scorso novembre, un'eventualità di fronte alla quale il mondo del femminismo romano, delle associazioni e della politica si era mobilitato con assemblee e petizioni. Visto il polverone l'amministrazione aveva deciso di incontrare i rappresentanti del consorzio che rappresenta le tante realtà presenti nella storica istituzione delle donne. Era il 14 novembre e i toni del Campidoglio erano quanto mai concilianti: "Abbiamo incontrato le rappresentanti del Consorzio Casa Internazionale delle Donne ed esaminato con attenzione la documentazione. È stato un confronto aperto e costruttivo. Abbiamo concordato di vederci nuovamente i primi di dicembre. Siamo sicure, anche alla luce dei nuovi elementi esaminati, di poter arrivare a una soluzione condivisa”. Firmato l'Assessore di Roma Capitale al Patrimonio e alle Politiche Abitative Rosalba Castiglione e l'assessore alle Pari Opportunità Flavia Marzano.
Ma il contenuto della relazione protocollata il 2 maggio sembra andare in tutt'altra direzione. Dopo una lunga ricostruzione degli atti amministrativi che hanno portato alla nascita della Casa Internazionale delle Donne, dall'occupazione di Palazzo Nardini in via del Governo Vecchio nel 1976 da parte del movimento femminista, fino alla proroga della concessione al consorzio del 2010, le donne del Movimento 5 stelle dichiarano un fallimento il progetto che, da quanto loro riscontrato, non sarebbe economicamente sostenibile e non centrerebbe gli obiettivi in virtù dei quali era stata stipulata la convenzione, avallandone di fatto lo sgombero.
Le elette del M5s riconoscono come "pienamente realizzato" l'obiettivo di un "impatto positivo dal punto di vista culturale e sociale" del progetto, ma denunciano come non sia documentabile il secondo obiettivo a cui si impegnava la Casa Internazionale delle Donne, ovvero "la capacità di stimolare e supportare l'imprenditorialità femminile". Il terzo obiettivo – "la realizzazione di un modello di programmazione economica, finanziaria e commerciale tale da non gravare economicamente sull'amministrazione capitolina" – sarebbe invece stato completamente mancato. Così dalle "risultanze" acquisite "in maniera incontrovertibile" le esponenti della maggioranza sottolineano agli uffici competenti "gli esiti negativi del progetto Casa Internazionale delle Donne".
Il punto però sembra essere tutto politico e non solo burocratico: la Casa Internazionale delle Donne ha maturato un debito nei confronti del comune di Roma, debito che mette a rischio il rinnovo della concessione. Un debito che secondo il consorzio non tiene conto del valore dei servizi svolti per la collettività, per la quali le donne della Casa proponevano "una valutazione del loro valore economico dell’ordine di € 700.000 annui". Quello che rimane da capire è se il Movimento 5 stelle al governo della città vuole trovare soluzioni sostenibili e realistiche per il riconoscimento di realtà consolidate e importanti nel panorama sociale e culturale di Roma, o se vuole misurare la loro efficacia solo in termini di resa economica o di perdita per le casse comunali. Vale per la Casa Internazionale delle Donne, ma anche per l'Angelo Mai. Serve una scelta politica chiara: tutelare gli spazi di autonomia e indipendenza riconoscendoli e dandogli la possibilità di vivere, oppure no.