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La Festa della Repubblica senza armi e soldati che sfilano per le strade di Roma: finalmente

Domani, in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno, a causa dell’emergenza coronavirus non si terrà la parata militare. Soldati in mimetica con fucili e mitragliatori non sfileranno per le strade di Roma: è un’occasione per dire addio a una manifestazione obsoleta e lontana dai valori della Costituzione.
A cura di Valerio Renzi
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Domani niente parata militare per le strade di Roma a causa dell'emergenza coronavirus. Soldati in mimetica, fucili e mitragliatori non sfileranno per le strade della capitale tra ali di cittadini che sventolano tricolori e le tribune assiepate delle più alte cariche dello Stato. Uno stop che sarebbe bello si trasformasse in un addio definitivo a un'esibizione inutile di marce e passo dell'oca, a un rito ripescato nel 2000 dall'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che ha fatto ritornare in auge un appuntamento che possiamo prendere come simbolo di un nuovo sciovinismo e di un nuovo sentimento nazionalista in Italia.

In un mondo dove le guerre sono una realtà endemica in molte regioni del pianeta, dove l'industria bellica (anche italiana) continua a muovere cifre da capo giro rifornendo i contendenti di conflitti dove a pagare è prima di tutto la popolazione civile, celebrare la nascita della Repubblica con fucili, pistole e armi di ultima generazione è una manifestazione come minimo di cattivo gusto. Nonostante i tentativi di rendere la parata militare quanto meno militare possibile, dedicandola ad esempio a temi sociali come "l'inclusione" (è avvenuto nel 2019), è la narrazione dell'eroismo guerriero dei caduti per la Patria e la presenza stessa di uomini armati a non essere riformabile. Per esempio la Prima Guerra Mondiale o è l'eroica difesa dei confini nazionali (con l'ambizione di allargarli ben oltre quelli naturali) o è stato un folle tritacarne dove a morire nelle trincee, sotto le bombe, massacrati alla baionetta sono stati i più poveri. Tertium non datur: perché con l'omaggio al milite ignoto non rendiamo omaggio anche a chi ha disertato sicuro di essere mandato al macello da ufficiali che impartivano ordini sciocchi e incomprensibili? O a chi si è rifiutato di partecipare alle guerre coloniali o a quelle di aggressione fascista?

Piuttosto la Festa della Repubblica potrebbe servire a tutti per riflettere sulle promesse ancora da realizzare contenute nella Carta Costituzionale, a cominciare da l'articolo 3:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

A sfilare, al posto delle forze armate, potrebbero essere allora tutti quegli uomini e quelle donne che sono tutti giorni impegnati nella rimozione di quegli ostacoli che rendono l'uguaglianza e la libertà sostanziale dei cittadini ancora ben al di là da raggiungere. Sarebbe una festa più allegra e meno lugubre, più vitale e meno ingessata, una Repubblica che guarda al futuro e meno al passato.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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