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Opinioni

Il M5s a Roma si è scordato di quando l’acqua era un bene comune

Il comune di Roma si prepara a vendere le sue quote di Acea Ato 2. Quando lo proponeva Ignazio Marino parlava di “svendopoli”. Sei anni dopo la vittoria referendaria del 2011, il Movimento 5 stelle (che di quella vittoria fu protagonista) e i movimenti per i beni comuni sembrano sempre più lontani, in particolare a Roma.
A cura di Valerio Renzi
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Ieri, sei anni fa, il movimento per i beni comuni vinceva a sorpresa il referendum sull'acqua pubblica. Tra le principali forze politiche di oggi, l'unica a essere convintamente schierata per l'acqua pubblica era il Movimento 5 stelle, che di quella battaglia ha fatto una sorta di mito delle origini. Ma cosa succede ora che il M5s è cresciuto e che da qualche parte ha cominciato a governare?

Una prima risposta importante arriva da Roma, dove proprio ieri i rappresentanti del Coordinamento romano acqua pubblica sono stati spintonati via da piazza del Campidoglio e identificati dalle forze dell'ordine. Volevano esporre una grande bandiera dalla scalinata, per ricordare alla sindaca Virginia Raggi e ai suoi di essere coerenti con le posizioni espresse in passato. Anche la vicenda dello sgombero del Rialto, sede del Forum dei movimenti per l'acqua bene comune – e la successiva proposta di bando ‘pilotato' rispedita al mittente -hanno contribuito a scavare un solco sempre più profondo tra chi oggi sta nel palazzo e chi sta fuori.

Qualche giorno fa il super consulente esterno Paolo Simioni, dalle pagine del Sole 24 Ore, anticipava il contenuto del piano di razionalizzazione delle aziende partecipate dal comune di Roma, a cui sta lavorando l'assessorato dedicato diretto da Massimo Colomban. Tra i provvedimenti annunciati la vendita del 3,5% di Acea Ato 2, la società di Acea Holding Spa, che si occupa della distribuzione idrica a Roma e provincia.

Che vuol dire per i romani la vendita delle quote di Acea Ato 2

Una scelta dettata dalla volontà di privarsi di partecipazioni ‘piccole' e al contempo di far cassa, ma che solleva molti dubbi sia in termini di razionalità economica che di scelta politica strategica. Prima di tutto si stima che la vendita del 3,5% di Acea Ato 2 frutterebbe circa 12 milioni di euro, a fronte di 2,5 milioni di utili annuali che entrano nelle casse (che piangono) di Roma Capitale. Vorrebbe dire fare cassa subito, ma avere un bilancio in perdita dell'operazione nel giro di pochissimi anni. Inoltre quel piccolo 3,5% permette all'amministrazione pubblica di sedere nel consiglio di amministrazione di Acea Ato 2, rappresentando dunque un elemento di garanzia e indirizzo.

Quando il Movimento 5 stelle tuonava contro "svendopoli"

In questo, come in altri casi, l'amministrazione pentastellata che prometteva di rivoluzionarie tutto, è in piena continuità con l'indirizzo politico precedente: le stesse operazioni di razionalizzazione erano contenute nella delibera n. 11 del Bilancio Previsionale del Comune di Roma, approvata il 23 marzo 2015 dall'allora amministrazione di centrosinistra con sindaco Ignazio Marino. Allora, a dirsi contrario alla vendita delle quote di Acea Ato 2 c'era l'attuale presidente dell'Assemblea Capitolina Marcello De Vito, che tuonava contro "svendopoli", e chiedeva il rispetto del risultato del referendum del 2011, che non solo dice no alle privatizzazioni, ma parla di ripublicizzazione. Belli i tempi dell'opposizione: ora servirebbero fatti nuovi.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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