Nelle stanzette virtuali e fisiche, del Partito Democratico, fra coloro che avrebbero voluto liquidare il caso Ignazio Marino prima del giorno dei Morti, il mantra di queste ore è sempre lo stesso, declinato in vari modi, tuttavia riassumibile in: «Marino è un pazzo» / «Marino ha fatto una follia». La decisione di non dimettersi da sindaco di Roma sarà pure una follia per i partiti (la gente dice ben altro…) ma dimostra una cosa: è finito nella Capitale il tempo in cui giocare all'House of Cards alla vaccinara, il tempo in cui pensare che il governo di Roma è scontato come una brutta sceneggiatura di fiction. Qualcuno ha definito il chirurgo-politico un ‘sindaco marziano' facendo passare l'idea di un uomo scollegato dalla realtà. In parte è vero: Marino ha fatto errori clamorosi ed è un uomo respingente mediaticamente. Non ha il polso di tutta Roma, come non ce l'aveva Gianni Alemanno, come non ce l'aveva Francesco Rutelli, come non ce l'aveva Walter Veltroni .
Ma se lui è un alieno, il Pd di Roma dove vive, sulla Luna? In questi difficili anni di consiliatura fatti di Mafie Capitali, di pogrom nelle periferie contro gli immigrati, di degrado incessante, di Metro A e B, di Giubilei vecchi e nuovi, cosa ha fatto il partito di maggioranza? Ha guardato scorrere il fiume placido come il protagonista d'un romanzo picaresco e quando si è accorto che stava passando un cadavere – il suo – ha cercato di metter mano ma era troppo, troppo tardi.
Matteo Orfini, uno che sembra uscito da un episodio del miglior Nanni Moretti sulla sinistra in crisi, è commissario straordinario del partito da un anno: ha mai pensato a tracciare una linea, tirare le somme, osservare il risultato (compreso nel campo dei numeri irrazionali) e far fagotto ammettendo la sua fallimentare esperienza, sostenuta solo dall'altro Matteo, il padre-padrone del partito? La vita sarà anche un quiz, come cantava il grande Renzo Arbore, ma non è certo un tweet.