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Omicidio Marco Vannini

Una famiglia normale e un omicidio: perché il caso di Marco Vannini segnerà questi nostri anni

Il caso Vannini smuove le coscienze ed è sicuramente tra vicende giudiziarie e umane che hanno segnato nel profondo l’opinione pubblica degli ultimi anni. Questo perché la morte di Marco è avvenuta in un ambiente familiare normale, perché i protagonisti sono i membri di una famiglia normale, senza particolari problemi. E perché la giustizia dopo cinque anni non ha ancora stabilito le responsabilità di quanto accaduto quella notte.
A cura di Simona Berterame
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Il caso sulla morte di Marco Vannini può essere considerato a tutti gli effetti tra le vicende giudiziarie e umane che hanno segnato nel profondo l'immaginario collettivo del nostro paese negli ultimi dieci anni. Tutte le principali trasmissioni televisive che si occupano di casi di cronaca nera da sempre dedicano ampio spazio al caso di Marco Vannini, seguendo passo passo tutta la vicenda giudiziaria che ora si appresta ad entrare in una nuova fase, con il nuovo processo d'appello che inizierà l'8 luglio. Il 7 febbraio 2020 la sentenza di Cassazione ha stabilito che se la famiglia Ciontoli fosse intervenuta tempestivamente per salvarlo, Marco si sarebbe salvato, disponendo un nuovo procedimento. In primo grado Antonio Ciontoli era stato condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale, mentre la Corte d’Appello di Roma ha derubricato il reato per il capofamiglia ad omicidio colposo con colpa cosciente, condannandolo a 5 anni. Al centro del dibattito pubblico e dell'interesse dei media (la doppia puntata di ‘Storie Maledette' di Franca Leosini sul caso è entrata nella storia della televisione) e dell'opinione pubblica, rimane il comportamento della famiglia Ciontoli, dell'apparente freddezza di fronte a un ragazzo morente, la catena di coperture e omissioni che ha portato alla morte di Marco.

La sera della morte di Marco Vannini

Il 17 maggio 2015 Marco stava trascorrendo una serata come tante a casa dei genitori della fidanzata Martina Ciontoli. Verso le 23.15 il giovane viene colpito da un colpo d'arma da fuoco, mentre si trovava nella vasca da bagno. A sparare Antonio Ciontoli, il padre di Martina. "Stavamo giocando con le pistole, mi aveva chiesto di vederle. Ho caricato ed ho sparato perché pensavo fosse scarica" si sarebbe poi giustificato in aula. Il resto della famiglia afferma di non essere presente al momento dello sparo e di non aver capito di cosa si trattasse. Marco urla di dolore, come dichiarato in aula dai vicini di casa dei Ciontoli, eppure rimarrà per quasi un'ora in quella villetta a Ladispoli. Una prima telefonata al 118, fatta da Federico il fratello di Martina, viene poi annullata ‘perché Marco sembrava riprendersi'. All'operatrice del 118 non verrà detto dello sparo ma Federico le parlerà di uno spavento, un attacco di panico per uno scherzo.

Solo a mezzanotte Antonio Ciontoli decide di chiamare di nuovo i soccorsi, ma anche in questo caso il capofamiglia nasconde la verità e dirà all'infermiera che il ragazzo "si è ferito con un pettine a punta scivolando nella vasca".  Anche all'arrivo dell'ambulanza nessuno nominerà il colpo di pistola e Marco verrà trasportato in codice verde, perdendo altro tempo prezioso. Solo una volta giunti al Pit di Ladispoli, Antonio Ciontoli confessa al dottor Matera che il ragazzo è stato attinto da un colpo d'arma da fuoco. Immediatamente viene chiamato un elisoccorso per trasportare Marco d'urgenza all'ospedale Gemelli di Roma. Ma purtroppo Marco morirà alle 3.10 di notte mentre si trovava sull'eliambulanza.

Una sentenza considerata ingiusta

Il caso Vannini è "entrato nelle case di tutti gli italiani", come si dice in questi casi. Si tratta senza dubbio della vicenda più seguita degli ultimi anni. La mobilitazione online per Marco è incredibile: il gruppo Facebook ‘Giustizia e verità per Marco Vannini' sfiora i 65mila iscritti, la petizione lanciata quattro mesi fa su Change.org ha superato le 350mila firma. Ma la solidarietà non è solo virtuale: il 18 maggio 2018 migliaia di persone hanno sfilato per le vie di Cerveteri al fianco della famiglia Vannini chiedendo a gran voce giustizia per quella giovane vita spezzata. La sensazione diffusa è che la sentenza, al di là della questione di diritto a cui i giudici si devono ovviamente attenere, non renda pienamente giustizia alla famiglia di Marco e alla dinamica della sua morte, pur riconoscendo le colpe di tutta la famiglia Ciontoli.

Tutti si sono stretti intorno ai familiari di Marco Vannini il giorno della sentenza di secondo grado, che ha ridotto la pena di Antonio Ciontoli da 14 anni per omicidio volontario a 5 per omicidio colposo. "Vergogna! Mio figlio aveva 20 anni, come potete dire una cosa del genere?" ha urlato Marina in aula rivolgendosi ai giudici prima di venire scortata fuori e la sua rabbia ha fatto breccia nell'animo di tutti. E in questi mesi questa famiglia distrutta dal dolore non è stata mai lasciata sola. "Ricevo lettere tutti i giorni indirizzate a mamma Marina – ci racconta la mamma di Marco Vannini – mi riempie il cuore di gioia questo affetto anche se quello che vorrei è poter sentire ancora una volta la voce di mio figlio chiamarmi mamma".

Cosa ci dice di noi il caso di Marco Vannini

Ed è proprio Marina a spiegarci con parole semplici perché in tanti credono che ancora non sia stata fatta giustizia: "Marco è morto in modo atroce ma non si trovava in un contesto pericoloso. Non lo hanno lasciato morire degli estranei ma quella che doveva essere la sua seconda famiglia, quella della sua fidanzata. Per questo le persone si indignano ascoltando la sua storia, perché tutti mandano il proprio figlio a casa della ragazza e nessuno immaginerebbe mai di rivederlo cadavere in una stanza di obitorio".

Proprio l'ambiente familiare in cui la morte di Marco è avvenuta, il fatto che a coprirsi a vicenda siano state persone non con un profilo criminale ma assolutamente ‘normali', che i protagonisti siano i membri di una famiglia come tante è l'elemento che scuote di più chi legge e guarda. Ascoltare gli audio dei Ciontoli che, in un corridoio di una caserma, concordano la versione da rendere agli inquirenti e si tranquillizzano a vicenda sul non aver fatto nulla di male, scuote le coscienze perché chiunque o quasi si può ritrovare in loro. Non è un omicidio avvenuto in un angolo buio della società, non c'è nessuna marginalità o devianza a cui si può addebitare la colpa profonda di un comportamento che consideriamo eticamente insopportabile. Questo, assieme alla sensazione di una decisione ingiusta, sono gli elementi hanno fatto si che la morte di Marco Vannini e il successivo processo è una di quelle storie destinate a segnare l'immaginario dei nostri anni.

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