Tre anni fa oggi Virginia Raggi diventava la prima sindaca donna di Roma e il Movimento 5 stelle raggiungeva una prima storica vittoria. Una vittoria popolare, la promessa di cambiare tutto dopo Mafia Capitale e di rimettere la città al centro del paese e del mondo. Il mondo guardava con curiosità alla novità, i quotidiani più autorevoli del pianeta registravano il cambiamento, i commentatori si mostravano disponibili a dare fiducia a quella giovane avvocata che veniva da un meet up ed era passata per un breve mandato in consiglio comunale. Tre anni dopo cosa rimane di quei giorni di pieni di entusiasmo? Superato il giro di boa di metà mandato chi ha ottenuto un così ampio mandato dagli elettori nelle urne, generato così tanto entusiasmo, non può continuare a dare la colpa a quelli che c'erano prima e la necessità di fare un bilancio appare tutto tranne che pretestuosa.
Con chi parli parli, in Campidoglio e fuori, tutti recitano la stessa formula rassicurante: "Abbiamo trovato un disastro, in questi tre anni abbiamo cambiato le regole del gioco, nei prossimi due anni i cittadini vedranno i risultati". Sarà, ma intanto il metro dell'azione dell'amministrazione comunale i romani, in particolare chi vive in quelle periferie che votarono a valanga per Raggi al ballottaggio del 2016, lo misurano in base a poche cose come: ogni quanto passa l'autobus? Quanto ci metto ad arrivare a lavoro? Lo spazio verde sotto casa è agibile o sembra un jungla? L'immondizia straborda dai cassonetti o viene ritirata? Nel mio quartiere ci sono occasioni di socializzazione e iniziative culturali accessibili? E così via.
Ormai il degrado di Roma è diventato un luogo comune del giornalismo e della politica con i suoi topos letterari, tra buche e ‘monnezza', e un ricco bestiario di sorci, gabbiani e cinghiali. Una narrazione che gira intorno i problemi, esamina i sintomi senza mai individuare la malattia. Ed è inutile l'affannosa corsa della sindaca a raccontare un'altra città mostrando gli "zozzoni" multati mentre lasciano calcinacci o materassi in strada, l'inaugurazione di qualche centinaio di metri di ciclabile o il rifacimento di una strada: testardi come solo i fatti sanno essere i problemi rimangono, lì sul piatto. E sono problemi enormi, che necessitano di una direzione di governo a medio termine, del reperimento di risorse importanti e della mobilitazione della città. Invece il Campidoglio è diventato un fortino imperscrutabile, da quando doveva essere la ‘casa di vetro di tutti i romani'.
Tra lo scandalo di Raffaele Marra, le porte sbattute di assessori e dirigenti in fuga, l'arresto di Marcello De Vito e il papocchio sullo stadio, il vero errore del Movimento 5 stelle è quello di non aver mobilitato il suo "popolo", o meglio di non averlo costruito come ogni avventura populista imporrebbe. Virginia Raggi, e forse anche i vertici nazionali del M5s, non si sono accorti che la conquista del palazzo sarebbe stato solo l'inizio, che la vera battaglia cominciava allora. E invece sono rimasti ostaggio di cricche e gruppi che hanno provato in tutti i modi ad approfittare del nuovo corso, lontani, a volte lontanissimi da chi aveva riposto la propria fiducia nel nuovo corso degli onesti e dei cittadini che dovevano governare per i cittadini.
Quello che è mancato in questi tre anni dunque non è stata l'esperienza, ma la capacità di costruire attorno ai problemi (a volte drammatici) della città, una mobilitazione che vedesse uniti rappresentanti delle istituzioni, forze sociali e sindacali, comitati e cittadini. Al contrario ci si è accaniti spesso sui corpi intermedi, non si è ascoltato la voce di chi più soffre, dedicandosi soprattutto ad operazioni di piccolo cabotaggio o dal forte impatto mediatico. Tre anni dopo quel corpo sociale che si era, anche se momentaneamente, coagulato attorno alla speranza di un cambiamento, semplicemente non c'è più.