Ieri in Senato è stato presentato il rapporto annuale (consultabile qui) dell'Associazione 21 luglio – che si occupa della condizione di rom, sinti e camminanti nel nostro Paese – intitolato "I margini del margine", proprio per sottolineare la condizione di estrema emarginazione di cui soffrono in Italia. Ampio spazio è dedicato alla situazione romana, da anni un vero e proprio laboratorio per le politiche di ghettizzazione della popolazione rom. Politiche istituzionali che hanno contribuito a produrre quanto accaduto a Torre Maura e a Casal Bruciato negli ultimi dieci giorni.
C'è un dato che balza all'occhio: l'aumento nel 2018 del 134% degli sgomberi di insediamenti informali, che hanno coinvolto, secondo i dati raccolti dai ricercatori indipendenti, 1300 persone. Nel 2017 erano aumentati del 17%, coinvolgendo 560 persone contro le 480 del 2016. Nel 2018 per abbattere baracche e allontanare chi si trovava all'interno sono stati spesi 1.604.000 euro, nel 2017 703.000 euro e nel 2016 602.000 euro. Si tratta di stime – probabilmente per difetto – basate sull'unico sgombero per il quale esistono dati pubblici sui costi sostenuti, quello dell’insediamento di via Salviati avvenuto nel 2013.
Per descrivere questo tipo di operazioni l'Associazione 21 luglio parla di sgomberi forzati, una pratica lesiva dei diritti umani e delle garanzie legali che dovrebbero rappresentare uno standard per una democrazia avanzata. Ad esempio prima procedere a uno sgombero le istituzioni dovrebbero avvertire i cittadini interessati al provvedimento, dando a essi la possibilità di ricorrere e garantendo in ogni caso una valida alternativa abitativa. Secondo la 21 luglio uno sgombero forzato è definito così dal "rispetto delle garanzie procedurali previste dagli standard internazionali in materia e, nello specifico, da quanto previsto dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite" . “Durante un eventuale sgombero le autorità devono astenersi dal violare la dignità e i diritti alla vita e alla sicurezza delle persone allontanate. Infine oltre a un risarcimento equo per i beni andati eventualmente distrutti nel corso dello sgombero, dev’essere garantita una sistemazione alternativa in luoghi che soddisfino i criteri dell'alloggio adeguato e che consentano ai nuclei familiari di restare uniti”, spiegava Amnesty International nel 2009 in relazione agli sgomberi dei rom proprio a Roma.
Garanzie e norme che secondo il Rapporto 2018 di Associazione 21 luglio, non sarebbero mai state rispettate:
Attraverso una costante azione di monitoraggio sul territorio romano, non ha mai riscontrato nel corso del 2018 una piena conformità tra le appropriate garanzie procedurali previste e le azioni di sgombero organizzate dalle autorità locali. Nel corso dell’anno l’organizzazione, a seguito degli sgomberi osservati, ha inviato più di 30 lettere di chiarimenti ai presidenti dei Municipi coinvolti, agli assessori alle Politiche Sociali municipali, alla Questura di Roma e alla Polizia Municipale. Solo in quattro casi si è avuta una risposta nella quale è emerso come gli sgomberi siano stati organizzati in maniera autonoma dalla Polizia Municipale – solo in alcuni casi con il coinvolgimento della Sala Operativa Sociale dell’Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti – e spesso senza un congruo preavviso rilasciato né alle persone coinvolte, né alle Autorità municipali".
Ma gli sgomberi forzati non solo aprono molti interrogativi su la loro legittimità, ma soprattutto sembrano non produrre nessuno dei risultati che vengono sempre sbandierati: una maggiore sicurezza e il rispetto della legalità. Questo tipo d'azione, oltre a produrre sofferenza e sempre ulteriore marginalizzazione, non fa che spostare dentro la città, da un luogo all'altro, il problema di uomini, donne e minori che non hanno una casa.