Incassavano somme di denaro per consentire a inquilini senza titolo di prendere la residenza in alloggi occupati o per stipulare le utenze. In molti casi erano loro stessi a indicare, dietro somme di denaro, gli indirizzi degli alloggi vuoti da occupare, in altre occasioni invece garantivano il "subentro" di un nuovo inquilino al vecchio. Le sei persone arrestate oggi e poste agli arresti domiciliari, tra cui spiccano un funzionario di Roma Capitale e uno dell'Ater, intascavano denaro anche per autorizzare lavori e assegnazioni di locali commerciali sempre di proprietà del comune.
Scorrendo le 136 pagine di ordinanza cautelare, si leggono i nomi di decine di persone che scelgono di pagare i funzionari per trovare una soluzioni ai loro problemi. Un indirizzo sicuro da occupare costava all'incirca 1500 euro. Una famiglia di origine indiana era pronta a pagare 15.000 euro per subentrare nell'abitazione di un'anziano residente. L'organizzazione, fatta di intermediari e funzionari, era in grado di agire soprattutto nel territorio del III Municipio, segnatamente nei quartieri di Monte Sacro, Tufello e Vigne Nuove. A risultare coinvolto non a caso è un funzionario della sede Ater di via Monte Titano, che insiste proprio sul territorio in questione.
Funzionari e dipendenti dell'amministrazione pubblica che si muovono come "padroni" secondo il giudice, trattano serrane e abitazioni come fossero cosa loro, ma in realtà stiamo parlando di un patrimonio di tutti. Come nel caso del negozio di piazza Sempione 24, proprio di fronte alla sede del III Municipio e a due passi dagli uffici dell'Ater, che i funzionari fanno acquisire agli interessati in cambio di denaro e utilità.
"C'avemo in mano ‘a graduatoria, ce l'ho in mano io!", spiegava il dipendente comunale coinvolto, chiarendo al suo interlocutore il potere di cui disponeva. "Lui vuole i sordi subito, i sordi i deve da' e j'i deve da' subito", spiega uno degli arrestati in riferimento all'ispettore del XV Municipio. "Mò ti dico! Il signor Rocco una casa dell'Ater la prende quando dico io! Dà i sordi che je dico io, se je sta bene, se no non pija neanche ‘a residenza!", queste le condizioni ribadite in un'altra intercettazione per entrare in una casa da occupare.
Nella città capitale dell'emergenza abitativa, dove le case popolari sono troppe poche ed è sempre più difficile distinguere nel discorso pubblico tra i "furbetti" e chi si trova in una situazione di illegalità per una condizione drammatica di precarietà e povertà, l'inchiesta che ha portato agli arresti di questa mattina ha degli elementi decisamente inquietanti. Prima di tutto la disponibilità di funzionari pubblici a lucrare contemporaneamente sulla condizione di difficoltà di chi investe i suoi pochi soldi per entrare in una casa popolare senza esserne assegnataria, e di chi ha soldi da investire per accaparrarsi locali pubblici dove attivare attività commerciali.
L'operazione portata a termine questa mattina riguarda solo una piccola porzione di territorio della città e di patrimonio, è desolante. L'abbandono di una politica residenziale pubblica va di pari passi con la corruzione e il malcostume diventa norma. Pagare una "buona uscita" è normale nei quartieri popolari di Roma. Allungare i soldi per stare tranquilli pure. Nella capitale d'Italia bisogna anzi ritenersi fortunati di trovare il "gancio" giusto per infilarsi in una casa, o riuscire ad attaccare un'utenza (che il decreto Lupi sulla casa vieta a chi occupa). Nulla è più un diritto, tutto diventa una concessione e si tirano fuori tutti i risparmi per far tenere gli occhi chiusi, o per far sistemare le cose a chi siede dietro una scrivania. Perché accade? Perché chi dovrebbe garantire la legalità non è in grado di soddisfare i diritti minimi di tutti. E dove regna l'ingiustizia, la legge che prevale è quella della giungla.