Insegnante, ma anche giornalista, scrittore e editor, da qualche settimana Christian Raimo è anche assessore alla Cultura del III Municipio di Roma, dove il centrosinistra è tornato a governare eleggendo come minisindaco l'urbanista Giovanni Caudo, già nella squadra di Ignazio Marino. Con lui abbiamo discusso di Roma, del suo nuovo incarico e del perché è sempre più importante il ruolo di scrittori, giornalisti, cantanti come coscienza critica del paese, e del perché questo non basta più.
"Grande come una città". La tua prima iniziativa da assessore: un ciclo di lezioni all'aperto. Si comincia il 1 agosto nei giardini sopra metro Jonio con Luca Serianni dal titolo "La lingua italiana come cittadinanza". Raccontacela…
Ho cercato di fare una cosa semplice, che mettesse in evidenza quelle che per me dovrebbero essere le politiche culturali a Roma. Un appuntamento popolare, gratuito, accessibile, coinvolgente, una possibilità anche per chi ad agosto rimane in città di usufruire di cultura in uno spazio pubblico. Vorrei che gratuito, pubblico e popolare tornassero ad essere sinonimo di grande qualità culturale. In questo senso ‘grande come una città' vuol dire due cose diverse. In primo luogo che un territorio come il III Municipio che è pari a una città italiana di medie dimensioni, come Bologna, Parma o Trieste, è governato da organi senza soldi e con pochissimi poteri. Un territorio per il quale servirebbero strumenti e risorse adeguati. Dall'altra che anche in periferia fare politica non vuol dire occuparsi solo della buca o dei problemi minuti, ma di tutta la comunità.
L'opposizione nel paese sembra essere sempre più fatta da intellettuali, scrittori, cantanti, giornalisti. Tu hai deciso di prenderti un pezzetto di responsabilità politica in prima persona. Perché questa scelta?
Sono due cose diverse per me. La battaglia intellettuale vuol dire esprimere la giusta posizione, che può essere morale o di presa di parola rispetto a cose che possono essere terrificanti. È quello che sta accadendo rispetto ai respingimenti delle barche dei migranti o per la campagna contro le Ong, fatti rispetto ai quali uomini e donne del mondo della cultura stanno facendo giustamente sentire la propria voce. Ma non basta, bisogna costruire una nuova cultura politica e questo si fa solo con la pratica. Alla fine quello che rimane sono le cose costruite assieme agli altri. È questa la lezione di Danilo Dolci, Alexander Langer, Paulo Freire. Le scuole popolari, gli sportelli per i senza casa e i migranti, le nuove forme di coinvolgimento e protagonismo sono molto più importanti degli appelli con mille firme o di tutti i progetti di ricostruzione della sinistra. Per me i volontari del Baobab hanno molta più credibilità quando parlando di poveri e immigrazione di tutto il Partito democratico.
Come cittadino del quartiere e come giornalista ti sei occupato del Tmb di via Salaria, un problema sentito da decine di migliaia di cittadini e di cui ti stai occupando anche da dentro la giunta…
Sì. Ieri sono stato all'assemblea dei cittadini a largo Labia, martedì abbiamo fatto un lungo incontro in municipio come i comitati. Parlare di politiche culturali senza occuparsi anche dell'emergenza più grave di un territorio e che riguarda un diritto elementare, quello alla salute e a respirare, sarebbe stato un contro senso, a maggior ragione perché ho seguito questa lunga vertenza in prima persona. Una grande parte del III Municipio che ogni giorno patisce i disagi e le sofferenze che derivano da un impianto usato di fatto come una discarica situata a ridosso delle case, costringendo migliaia di persone in casa. Senza occuparsi di questo non ci sono le basi per occuparsi di tutto il resto, sia la cultura o la disciplina del traffico.
Sei stato il primo rappresentante delle istituzioni cittadine ad andare a trovare la famiglia di Cirasela, la bimba rom ferita da un uomo che stava provando la sua nuova arma ad area compressa. Perché la sindaca Virginia Raggi ancora non è andata?
Il perché andrebbe chiesto a lei, ma io lo trovo gravissimo. Io sono andato a vedere il luogo dove Cirasela è stata ferita su via Palmiro Togliatti, per capire fino in fondo cosa fosse accaduto, e lì ho incontrato la sua famiglia sono andato a vedere dove e come vivono. Una ventina di persone che vivono in un insediamento informale e che mi hanno raccontato che da dieci giorni escono solo per andare in ospedale dalla loro bambina. Hanno paura che qualcuno possa tornare a fargli del male, che qualcuno decida di emulare il gesto dell'uomo fermato. D'altronde in un paese in cui già qualcuno ha deciso di prendere una pistola per uscire a sparare ‘ai neri' c'è da biasimarli'? Ho apprezzato le parole di Sergio Mattarella che riferendosi al ferimento di Cirasela ha parlato della necessità di un'indignazione morale. Però c'è anche bisogno dello Stato, che gli uomini e le donne che sono stati aggrediti a colpi di pistola si sentano protetti.