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La cattiva accoglienza non la devono pagare gli ultimi

Il Cara di Castelnuovo di Porto a 50 chilometri d Roma non è certo un fiore all’occhiello del sistema d’accoglienza in Italia, ma la sua chiusura da un giorno all’altro non colpisce il “business dell’accoglienza” (le cui regole è bene ricordarlo le fa lo Stato e il ministero di cui Salvini è titolare), ma solo gli operatori che perdono il lavoro, i migranti trasferiti e quelli che rimarranno in mezzo a una strada.
A cura di Valerio Renzi
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Protesta dei migranti ospiti del Cara di Castelnuovo di Porto nel 2014
Protesta dei migranti ospiti del Cara di Castelnuovo di Porto nel 2014

Da ieri si parla del Cara di Castelnuovo di Porto per la decisione del Viminale di chiuderlo. Matteo Salvini questa mattina ha ribadito: "Mi ero impegnato a chiudere le mega strutture dell'accoglienza, dove ci sono sprechi e reati, come a Bagnoli, a Castelnuovo di Porto, a Mineo. E lo stiamo facendo". Così se da una parte troviamo il ministro dell'Interno intento a ripetere il consueto mantra contro il "business dell'accoglienza", dall'altro troviamo molti articoli di giornale descrivere il Cara di Castelnuovo come un modello positivo. L'obiettivo è esplicito: condannare il trasferimento dei migranti ospiti, molti dei quali ormai integrati nel tessuto sociale e produttivo della zona, e soprattutto denunciare come titolari di protezione umanitaria e richiedenti asilo si troveranno da un giorno all'altro in mezzo alla strada per effetto del Decreto Sicurezza

Purtroppo però le cose sono più complesse. La struttura di Castelnuovo di Porto non è un fiore all'occhiello del sistema di accoglienza: i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) rappresentano alla perfezione tutte le storture dell'accoglienza trattata come un'emergenza. Sono centri grandi e posti in luoghi decentrati, con tutte le conseguenze negative date dall'ammassare un gran numero di persone fragili e vulnerabili all'estrema periferia dei centri urbani. In più più volte i migranti e le associazioni hanno denunciato la debolezza dei percorsi di integrazione all'interno di queste strutture, poco più che degli enormi dormitori, ma anche le condizioni di vita difficili al loro interno. Nel 2014 un'ondata di proteste ha ad esempio attraversato il Cara di Castelnuovo gestito dalla cooperativa Auxilium, terminate con violente cariche fin dentro la struttura.

Solo 10 giorni fa un'inchiesta del quotidiano il manifesto denunciava le condizioni di vita all'interno della struttura, rendendo pubbliche delle immagini esclusive girate all'interno che mostrano una struttura e stanze fatiscenti: "Superata una doppia rampa di scale si apre uno spazio dove confluiscono le varie corsie attraverso le quali è difficile muoversi: accumulati fuori dalle stanze, mucchi di indumenti e qualche valigia fanno da intralci. Le pareti, alcune di colore bianco, altre gialle, mostrano ancora i resti della alluvione che allagò nel 2014 il centro. A poca distanza l’una dall’altra sulle porte delle stanze, per chi ha la fortuna di averle ancora, si legge: «4 letti». All’interno la realtà è un’altra, sono almeno in 8, i più sfortunati sono costretti a dormire in terra su materassi. Nemmeno un armadietto a disposizione, tutto sparso sul pavimento. Le finestre che danno sull’atrio interno non hanno più vetri, scotch e plastica ne hanno preso il posto".

La responsabilità della cattiva accoglienza è in prima istanza dello Stato, che invece di progettare bandi per piccoli centri e progetti d'integrazione diffusi, mettendo paletti più rigidi per associazioni e cooperative che si candidano a gestirli, continua ad affidarsi a chi preferisce aumentare il margine di profitto che diminuire l'impatto dell'accoglienza sui territori. Se esiste un "business dell'immigrazione" dunque è generato dalle regole stabilite in primis dal ministero dell'Interno e dagli scarsi controlli. Se chiudere i Cara è necessario, è far pagare agli ultimi questa scelta ciò che deve indignare. Se il Cara di Castelnuovo è l'esemplificazione dei limiti  e delle storture del sistema d'accoglienza, la sua chiusura dal giorno all'altro la pagheranno gli operatori che perdono il lavoro, i migranti trasferiti all'improvviso e soprattutto chi avrà come unica alternativa la strada. Il colosso della cooperazione Auxilium se ne farà una ragione e troverà un'altra voce di bilancio, e di certo a Salvini non interessa se le condizioni di vita degli ospiti miglioreranno o peggioreranno: gli basta avere una cartuccia in più da sparare nella sua quotidiana propaganda.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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