Non tutti gli omicidi sono uguali, alcuni fatti di cronaca segnano la coscienza collettiva più di altri, entrando nell'immaginario di tutti noi, raccontando le paure di un intero paese, di un'intera società. Così è accaduto ad esempio per il brutale assassinio del 23enne Luca Varani da parte di Manuel Foffo e Marco Prato. Si è indagato sulla vita e la relazione sessuale tra i due assassini. Ci si è domandati all'infinito cosa sia accaduto davvero, perché due ragazzi della Roma bene abbiano torturato e assassinato un loro coetaneo. Se davvero, come ha detto Foffo, volevano "solo vedere che effetto faceva uccidere". Una sorta di gioco portato alle estreme conseguenze.
Qualcuno ha chiamato in causa l'edonismo sfrenato, la ricerca di un limite da superare ogni volta, cercando una narrazione pruriginosa, la devianza che si fa mostruosità. Foffo e Prato, i cui cognomi si sono trovati accoppiati migliaia di volte in centinaia di titoli, invece sono forse lo specchio rovesciato della normalità, non due mostri. Ragazzi normali, con vite tutto sommato normali e famiglie con problemi normali. Una normalità borghese, con le sue ipocrisie e i suoi non detti forse.
Ora che Marco Prato si è tolto la vita nel carcere di Velletri, scegliendo di soffocare in un sacchetto di plastica, è una sconfitta per tutti. Prima di tutto è una sconfitta per lo Stato, che non ha saputo tutelare la sua vita come quella di tanti altri detenuti: sarà l'inchiesta ad accertare eventuali responsabilità e se Prato fosse o meno compatibile con il tipo di regime carcerario a cui era sottoposto. Ma è una sconfitta anche per i genitori di Luca Varani, che chiedevano giustizia, perché la scelta di Prato di togliessi la vita non ha nulla a che fare con la giustizia. Marco Prato, il "mostro" su cui sono state scritte centinaia di migliaia di parole, non affronterà il processo che lo attendeva. Manuel Foffo è stato invece già condannato a trent'anni di carcere, con la scelta del rito abbreviato.