Sono arrivati ieri mattina, hanno circondato il campo tenendo a distanza giornalisti e rappresentanti delle associazioni, e poi sono entrati. Dopo aver messo nastro e avvisi attorno ad otto container di proprietà del comune di Roma, hanno dato il via libera agli operai che hanno distrutto porte e finestre, sfasciato gli interni dei moduli prefabbricati. Pur di non farci dormire all'interno le famiglie rom che non avrebbero titoli o sono "irregolari" all'interno del Camping River, gli agenti della Polizia Locale di Roma Capitale, che dipendono direttamente dal Campidoglio, hanno dato l'ordine di vandalizzazione delle baracche.
È una vicenda surreale quella del Camping River, l'unico "villaggio della solidarietà", come con un eufemismo sono chiamati i ghetti monoetnici per rom, a sorgere su un'area di proprietà del comune di Roma. Allo scadere della convenzione con la proprietà del camping, l'amministrazione comunale ha deciso di chiuderlo in fretta e furia, inserendolo nel Piano per il superamento dei campi rom che riguarda gli insediamenti di Monachina e Barbuta. In poche parole il personale del Campidoglio ha messo in mano alle famiglie i numeri di telefono di alcune agenzie immobiliari per reperire un affitto sul mercato, garantendo loro un sostegno per i primi dieci mesi. Ovviamente nessuna delle agenzie ha affittato una casa a queste famiglie.
Intanto i rom di Camping River sono rimasti all'interno del campo, senza più servizi. Ieri il comunicato della Polizia Locale recitava: "Tutti gli occupanti hanno rifiutato assistenza alloggiativa". Ovvero nessuna delle famiglie ha accettato di essere smembrata, nessuno ha voluto andare in un luogo ignoto, lontano magari dalle scuole frequentate dai bambini.
Il Camping River è stato il primo dei villaggi della solidarietà nato sotto l'amministrazione Veltroni. Qua furono portate le famiglie dell'accampamento dell'Ex Snia Viscosa, sgomberato durante il periodo di Natale del 2004. Sono passati quattordici anni, prima queste persone sono passate da un insediamento abusivo all'altro. Un problema complesso quello della fuoriuscita della popolazione rom che vive nei campi, difficile da affrontare perché impopolare, ma che soprattutto non si può pensare di risolvere da un giorno all'altro. Per la tanto sbandierata "integrazione", ovvero l'ingresso stabile nel mercato del lavoro legale, serve tempo. Serve che le giovani generazioni vadano a scuola, che si emancipino dalla condizione in cui vivono. Serve cancellare lo stigma del pregiudizio e della vita nei ghetti.
La fine del sistema dei campi è urgente e necessaria, e soprattutto è necessario che avvenga nel rispetto pieno dei diritti di chi vi abita, non alimentando la nascita di nuovi insediamenti abusivi. Certo pensare di affrontare la questione distruggendo i container di proprietà pubblica dove queste famiglie vivono, anche "se non autorizzate", ci sentiamo di dire che non è un buon inizio. Se poi tutto ciò avviene in un clima avvelenato dall'annuncio di censimenti etnici da parte del ministro dell'Interno Salvini diventa anche pericoloso.