Senza panico i romani stanno finalmente capendo che il coronavirus è una vera emergenza
Fino a 48 ore fa il contagio era ancora una cosa che sembrava esotica. Lontana dal Grande Raccordo Anulare. Poi è arrivata la chiusura delle scuole e da ieri la moltiplicazione dei casi negli ospedali romani. Quello che era ovvio e chiaro a chi abbia con un minimo di attenzione seguito le notizie (e ascoltato e letto le previsioni), sta inevitabilmente avvenendo: anche a Roma il nuovo coronavirus è una vera emergenza, e i cittadini lo stanno lentamente capendo, dopo aver assistito per una settimana ai messaggi contraddittori che arrivavano dalla politica. A fine giornata è poi arrivato il primo decesso di una pazienta positiva.
La "rarefazione sociale" indicata come la più importante misura preventiva per rallentare il contagio, lentamente, ma sta avvenendo. In molti luoghi di lavoro si sta provvedendo allo smart working – compreso il Campidoglio – ed è prevedibile che lunedì moltissimi, anche tra gli impiegati pubblici, non rientreranno a lavoro. Chiudono teatri e cinema, l'Auditorium interrompe la programmazione e i musei contingentano gli ingressi. Ristoranti e locali invece continuano a essere aperti, segno che la città non è nel panico e che nei limiti del possibile i romani (ancora) non vogliono rinunciare a un minimo di socialità. D'altronde le indicazioni del governo non lo prevedono. Il parcheggio del più grande centro commerciale della città, quello di Porta di Roma, ieri pomeriggio non era deserto, ma di certo non era affollato come di consueto.
Senza psicosi, step dopo step, la città va fermandosi. I cittadini prendono consapevolezza dell'importanza dei "comportamenti individuali", ma in molti avanzano domande che in questo contesto appaiono più che legittime: "Perché se prendo un bus affollato e poi vado in un ufficio dove lavoriamo in venti in una stanza poi dovrei preoccuparmi del cinema?". Questo è il ragionamento che si sente fare più di frequente, segnale che il dubbio che le prescrizioni adottate siano ancora insufficienti è nella coscienza di molti.
Intanto i cittadini guardano con preoccupazione a cosa accade negli ospedali romani che, fino a ieri – quando la Cgil contava 42 tra medici e infermieri in isolamento – sono sembrati complessivamente impreparati ad affrontare l'emergenza nel migliore dei modi. Se lo Spallanzani continua a essere il centro di coordinamento per la gestione dei casi positivi e per gli accertamenti, al Policlinico di Tor Vergata, al San Filippo Neri, al San Giovanni, al San Camillo sono stati riscontrati pazienti contagiati speso dopo ore di attesa nei pronto soccorso.
Insieme alla percezione dei cittadini è cambiata anche la comunicazione delle istituzioni, che ha sostituito alle parole di caute ottimismo la giusta preoccupazione per le prossime settimane. La Regione Lazio ha comunicato che per proteggere medici e pazienti sono in arrivo 600mila mascherine, 20mila tute, 5 mila occhiali protettivi sanificabili dalla Protezione civile.