Processo Mafia Capitale, Carminati non rinnega i Nar e al pm dice: “Non accetto la morale”
Torna a parlare durante il processo Mafia Capitale, Massimo Carminati. E lo fa per dire che non rinnega nulla della sua storia, della militanza nella destra eversiva, che non dimentica i vecchi camerati dei Nar. Alla sbarra è chiamato a testimoniare Lorenzo Alibrandi, fratello di Alessandro, militante dei Nuclei armati rivoluzionari, ucciso a 21 anni in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine. Un rapporto quello con la famiglia Alibrandi cementato degli anni, che fa parte di quella connection che dalla strada alle stanze del potere, ha mantenuto uniti nei decenni una generazione di militanti di estrema destra.
Secondo l'accusa le attività di Alibrandi – titolare della cooperativa Piccoli passi, che si occupa di minori, e socio nella gestione di una spiaggia a Ostia – sarebbero state tutelate, protette, da Carminati. E Alessandro Alibrandi non nasconde il rapporto profondo che lo lega al Cecato: "Carminati dal 1979 era il migliore amico di mio fratello Alessandro, dopo la sua morte è rimasto una figura sostitutiva, è stato ed è come un fratello maggiore. Siamo molto legati, non è un'amicizia, è un legame diverso". "Quando vidi Alessandro da latitante – aggiunge Alibrandi – mi disse che era tornato perché avevano sparato a Massimo e stando a Roma si sentiva più vicino".
Carminati: "Non rinnego nulla della mia vita"
A quel punto Massimo Carminati sbotta e chiede la parola: "Io non rinnego nulla della mia vita, è stata quello che è stata. Ho sempre pensato che è meglio avere una idea sbagliata che nessuna idea. Non posso rinnegare i miei amici così faccio contento il dottor Tescaroli. Lui mi può anche chiedere l'ergastolo, è un suo diritto. Io ammiro la sua cattiveria professionale ma non può farmi la morale".