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178 contagi e 21 morti: la Rsa San Raffaele a rischio chiusura. I lavoratori: “Così paghiamo noi”

Entro sabato è attesa la decisione sul ritiro dell’accredito presso il Sistema Sanitario Nazionale. Se ciò accadrà l’azienda ha già fatto sapere che procederà a licenziare i circa 160 lavoratori. “Dopo tutto quello che abbiamo passato non è giusto che a pagare siamo soltanto noi, la Regione Lazio e le istituzioni devono impegnarsi per salvare i posti di lavoro”.
A cura di Valerio Renzi
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È il momento della verità per i circa 160 lavoratori della Rsa di Rocca di Papa di Proprietà del gruppo San Raffaele della famiglia Angelucci. Tra domani e dopo domani la Regione Lazio dovrebbe comunicare il risultato dell'iter di verifica sulle condizioni del mantenimento dell'accreditamento definitivo con il Servizio Sanitario Nazionale. In caso di ritiro dell'accreditamento la proprietà ha già fatto sapere che procederà a licenziare in blocco i lavoratori e a chiudere la struttura.

Giuseppe Liguori è un infermiere e rappresentante sindacale dell'Ugl: "Siamo di fronte a una linea aziendale molto ben definita, dove l'azienda dichiara che non ha possibilità di ricollocarci in caso di ritiro dell'accredito con il Sistema Sanitario Nazionale". "Noi come lavoratori abbiamo combattuto e combattiamo per difendere il nostro posto di lavoro – spiega – Abbiamo contattato le istituzioni: il prefetto, l'assessorato alla Regione Lazio e la presidenza, per discutere da subito di possibili soluzioni occupazionali per tutti i lavoratori, affinché 160 famiglie non restino senza uno stipendio. Per noi una prospettiva del genere è una cosa assurda dopo quello che abbiamo vissuto all'interno della struttura"

Dopo 178 casi di contagio e 21 morti, quello della casa per anziani dei Castelli Romani è stato il cluster più importante nel Lazio seguito dal San Raffaele della Pisana dello stesso gruppo imprenditoriale, su cosa sia accaduto all'interno in quelle drammatiche settimane è intervenuta anche la Procura che ha aperto un'inchiesta. Fanpage.it ha raccolto le testimonianze dei parenti e dei lavoratori che hanno denunciato la mancanza di percorsi separati, la promiscuità tra pazienti con sintomi compatibili con il Covid e pazienti sani, la mancanza di dispostivi di protezione individuale. Le stesse falle macroscopiche che avrebbero riscontrato gli ispettori della Asl, messe poi nero su bianco sulla relazione consegnata alla Regione Lazio.

C'è chi tra il personale contesta la ricostruzione della drammatica mancanza di dispositivi di protezione, forse alla base della diffusione del contagio. "Volevo precisare che noi avevamo i kit per l'emergenza covid predisposti in tutti i reparti, poi quando è arrivata veramente l'ondata in merito alle carenze di dispositivi di protezione individuale, eravamo pronti con tutte le difficoltà del caso. Diciamo che in tutta Italia ci sono stati problemi, con una carenza di mascherine. L'azienda presenta delle fatture che testimoniano l'acquisto dei dispositivi di protezione, quando è uscito il primo DPCM eravamo pronti", racconta Emiliano Pucci. Ma allora cosa è successo al San Raffaele? Ma soprattutto, visto che parliamo di sanità convenzionata, e quindi di denaro pubblico, se verrà dimostrato che il gruppo San Raffaele ha sbagliato come bisognerebbe procedere? È possibile tutelare i livelli occupazionali ma anche stabilire un criterio su chi e come usa i soldi pubblici?

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