“Sono morti del quartiere. Siamo tutti coinvolti”. Un lenzuolo bianco e una scritta con la bomboletta rossa che racchiude tutto il sentimento dei cittadini di Centocelle. Della parte migliore del quartiere, quella che oggi è scesa in piazza per dire che no, per nessuna ragione, vuole vivere in una città dove ci si può abituare al fatto che una giovane donna e due bambine vengono bruciate vive nella notte.
Mentre le indagini sono in corso e si cerca il responsabile dell’attentato, qui non importa l’esatta dinamica di quanto accaduto. Conta molto di più l’emozione e l’orrore per quanto accaduto. A chi è venuto in mente di tirare una bottiglia incendiaria contro un camper pieno di uomini, donne e bambini? Quanto ha contato che erano “rom”? “Vi bruciamo”, “toccherebbe dargli fuoco a questi”. Sulla rete o al bar ognuno di noi ha sentito queste frasi rivolte alla comunità rom. Qualcuno è passato dalle parole ai fatti? Esistono ancora gli anticorpi e la coesione sociale per arginare la xenofobia o i gesti di qualcuno che magari deciso di farsi giustizia da solo? Queste le domande che si fanno avanti con urgenza nella coscienza di migliaia di cittadini.
"Sono morti del quartiere". Una frase che rompe gli steccati, che rompe il ‘noi' e il ‘loro'. Che rivendica l'appartenenza di Francesca, Angelica ed Elisabeth ad una comunità. E poi “siamo tutti coinvolti”, un'assunzione di responsabilità di chi decide di non girarsi dall'altra parte, di affrontare invece i problemi di mettere le mani dentro i problemi, anche quando vuol dire affondarle nella ‘merda'. Sarebbe bello che le istituzioni dicessero le stesse cose “sono morti di Roma”, ma soprattuto “siamo coinvolti”. Perché non si può vivere per strada, ma soprattutto non si può morire bruciati vivi per le strade.