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“Si preoccupano più dei morti che dei vivi”: il centro Baobab è di nuovo in emergenza

In via Cupa, dove si trova il centro chiuso lo scorso dicembre, adesso c’è una tendopoli dove l’altra notte hanno trovato rifugio circa 200 migranti, in condizioni precarie. Tutto è lasciato all’impegno dei volontari: “Tronca ci ha mandati via e ci aveva promesso che avrebbe trovato un posto, ma non l’ha fatto”. E intanto la situazione rischia di esplodere.
A cura di Claudia Torrisi
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Baobab

La mia ultima visita al Baobab, il centro d'accoglienza autogestito di via Cupa, una traversina sulla Tiburtina, risale esattamente a un anno fa, a giugno 2015. Roma era in piena emergenza: a causa della temporanea chiusura delle frontiere e della sospensione di Schengen per il G7 in Germania, centinaia di migranti transitanti erano rimasti bloccati nelle principali città italiane e nella capitale in 500 si erano accampati nei pressi della stazione Tiburtina in attesa di partire, finché non è arrivata la polizia a sgomberarli – in modo anche piuttosto violento. Quelli che erano riusciti a fuggire si erano rifugiati nella struttura di via Cupa che, dai suoi circa 200 posti di capienza, si era trovata a ospitare 800 persone, letteralmente una in ogni angolo libero. In tutto sono passati dal centro circa 35 mila migranti. Nonostante il Comune di Roma avesse organizzato – anche se in clamoroso ritardo – una tendopoli alla stazione Tiburtina, l'edificio si era riempito fino al collasso. L'allora assessore alle Politiche sociali Francesca Danese aveva in seguito annunciato la cessione di un palazzo da parte delle Ferrovie dello Stato affinché l'anno successivo durante la stagione estiva non si verificassero più situazioni del genere. Ma lo stabile è rimasto abbandonato e coperto di rifiuti. E, a distanza di un anno, quella piccola traversa sulla via Tiburtina è tornata a essere l'emblema di tutto ciò che non va nell'accoglienza a Roma.

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Quando ieri sono arrivata nei pressi del Baobab mi è sembrato per un attimo che il tempo si fosse fermato. Sulla via principale vagavano ragazzi etiopi o eritrei, altri stavano seduti sui gradini. In via Cupa c'era molta confusione. Era l'ora di pranzo, e le volontarie stavano distribuendo i pasti ai migranti presenti. La situazione ricordava moltissimo quella di un anno fa, se non fosse che il centro adesso è vuoto e la strada è disseminata di tende e materassi. A dicembre del 2015, infatti – dopo un precedente blitz delle forze dell'ordine in cui sono stati identificati tutti i presenti – il Baobab è stato chiuso dal Comune, per "motivi amministrativi, legati alla controversia con la proprietà". I volontari hanno accettato la decisione presa dal commissario Francesco Paolo Tronca – anche perché in caso contrario era già stato annunciato lo sgombero – a condizione che venisse individuata una struttura in prossimità di una delle due stazioni principali, con servizi degni, per far fronte a questa situazione. Sei mesi dopo, nulla di tutto questo è stato fatto, e via Cupa è diventata un dormitorio a cielo aperto, gestito da un gruppo di volontari grazie all'aiuto dei cittadini romani.

Le promesse non mantenute di Tronca

"Dal 6 dicembre, da quando siamo stati sgomberati, il commissario Tronca ci ha promesso un posto. Non ha mantenuto la promessa e il posto non ce l'ha dato. Questo significa che adesso il centro Baobab sta continuando a operare ma su strada, perché è l'unico posto che ha a disposizione", spiega Cristina, una dei volontari presenti. In assenza di risposte, ad aprile gli attivisti si sono recati in uno stabile abbandonato, l'ex Ittiogenico di Tiburtina, con l'intenzione di ricominciare l'esperienza del Baobab. I volontari, però, sono stati sgomberati quasi subito dalla polizia. L'occupazione era stata fatta anche perché erano iniziati i primi arrivi: una decina di etiopi erano stati costretti a dormire in strada. Via Cupa, infatti, come spiega Cristina, "rimane ancora un punto di riferimento per i migranti che sono in transito. Tra l'altro, non tutti hanno capito che le frontiere sono per lo più chiuse, tutti vogliono andare nel nord Europa e quindi passano ancora qui pensando di potersi rifocillare qualche giorno per poi ripartire. E qualcuno è stato costretto a tornare indietro". I migranti, dicono i volontari, continuano ad arrivare per "il passaparola e le notizie che arrivano frammentate. Chi affronta il viaggio non sa che il centro qui è chiuso, anche perché i volontari stanno continuando a operare". Da qualche settimana, infatti, al banchetto che funge da info point davanti al cancello sono iniziati a moltiplicarsi gli arrivi: se una decina di giorni fa erano accampate in via Cupa una quarantina di persone, la notte scorsa sono diventate duecento.

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In 200 hanno dormito per strada

I migranti dormono per terra, nella migliore delle ipotesi in quattro o cinque in tende da campeggio omologate per due, donate da attivisti e cittadini. Nella peggiore su materassi e brande posizionate direttamente sulla strada. Ci sono solo due bagni chimici – "e non ce li ha dati il Comune", precisano i volontari – e poche possibilità di lavarsi. Qualche ospite con la scabbia viene accompagnato al centro della Croce rossa per una doccia, ma non è possibile organizzare per tutti. A provvedere a pasti e vestiario ci pensano i volontari, ma con questi numeri diventa sempre più difficile. "Cerchiamo solo di far fronte all'emergenza – spiega Cristina – Queste sono tutte donazioni che ci fanno le persone. Ci dividiamo in turni per il presidio e distribuire il cibo, poi la sera i migranti mangiano a Tiburtina o Termini dove c'è la Caritas. Oggi ad esempio è venuto don Marco dalla diocesi di Tiburtina che ha portato dei bigliettini per poter servire la cena". Mentre parliamo intorno a noi un bambino sui due o tre anni passa da una tenda all'altra. "Ci sono parecchie donne e molti minori. Quando riusciamo li mandiamo in altri centri, come l'A28 di via Tevere o quello di via del Frantoio, gestito dalla Croce rossa", dicono i volontari.

Un ragazzo seduto su un materasso sulla strada ha un cappellino con la visiera con scritto "Roma" a caratteri tricolori. Si chiama Amir, ha 14 anni – anche se ne dimostra molti di più – e viene dall'Etiopia. È partito dalla Libia su un barcone e poi ha raggiunto l'Italia, ma la sua meta è l'Inghilterra, dove vive il fratello. "Quando sono arrivato mi hanno preso le impronte digitali e mi sono spaventato, perché non voglio restare qui. Ma mio fratello mi ha detto che dovrei poter proseguire il viaggio perché sono minorenne", spiega. Amir è uno dei tanti minori non accompagnati arrivati sulle nostre coste. "La mia famiglia è rimasta in Etiopia. Quando sono arrivato ho chiamato mio fratello, gli ho chiesto di avvertire mia madre che stavo bene". Anche Yonas, eritreo di vent'anni, vuole andare in Inghilterra: "Lo so che è difficile, me l'hanno detto". Un altro ragazzo racconta di essere partito dal Sud Sudan ed essere approdato prima in Sicilia, poi a Napoli e infine a Roma. Spera di arrivare in Francia, dove vivono alcuni parenti. Era partito insieme a degli amici, ma confessa di non sapere dove siano adesso. "Spero solo stiano bene", dice.

Da quando i numeri hanno iniziato ad aumentare, i volontari hanno deciso di montare qualche tenda anche dall'altro lato della strada, sotto al cimitero del Verano. "A stare lì pare che l'amministrazione si preoccupi più dei morti che dei vivi", commenta una signora, venuta la mattina a portare dei pasti. Le tende, però, non bastano per tutti, e la notte scorsa in molti hanno dormito sulla strada, sotto coperte di plastica. "E secondo le previsioni presto arriverà la pioggia", spiega Viola, un'altra volontaria intenta a sistemare nuovi letti. Nel piazzale dove è stato montato il "Bao camp 2" vive da una decina d'anni una piccola comunità rom dentro delle roulotte. Viola racconta di aver "chiesto loro di metterci lì a fianco, proponendogli di dividere il cibo donato. Ci hanno risposto che non c'era problema, ma di tenere tutti i pasti per i migranti, che sono più poveri. L'unica cosa che ci hanno chiesto è di tenere pulito, perché hanno dei bambini piccoli che giocano in strada".

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I volontari gestiscono l'emergenza anche grazie all'aiuto medico sanitario di alcune associazioni, come Medu – Medici per i diritti umani. Il coordinatore generdale Alberto Barbieri mi spiega che in via Cupa ci sono "persone stremate, debilitate, traumatizzate, che hanno fatto un viaggio molto lungo e difficile. La maggior parte di loro viene dal Corno d'Africa e sono stati per un periodo molto lungo in Libia detenuti o picchiati, le donne spesso sono state violentate. Portano tutte le cicatrici e segni di questa situazione". I medici e gli operatori provano a prendersi cura dei migranti, ma le condizioni rendono difficile ogni cosa. "Anche le terapie che diamo – prosegue Barbieri – diventano insufficienti. Come si fa a parlare di salute e tutela della salute in questa situazione? Non ha molto senso. Il fatto grave è che oramai questa è una cosa regolare: appena il flusso di migranti aumenta ci troviamo in condizioni vergognose e se si interviene lo si fa troppo tardi. Non si riesce più a gestire, ma era tutto ampiamente prevedibile. La responsabilità è tutta delle istituzioni". Quest'ultima frase mi è stata ripetuta più volte da volontari e operatori presenti nei pressi del Baobab: quello che lamentano, in sostanza, è il colpevole silenzio di questa – seppur provvisoria – amministrazione e di chiunque su una situazione che è una vera emergenza umanitaria. E che può solo peggiorare.

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Allontanandomi dall'ex Baobab, ho percorso un pezzo di via Tiburtina a piedi. Alla mia destra pannelli pieni di manifesti elettorali di ogni partito e colore politico ricordano a chi passa che domenica a Roma si vota per le amministrative. La situazione di via Cupa, con 200 persone lasciate a dormire per strada, e il fatto che praticamente nessuno si sia pronunciato sull'argomento dà la cifra esatta del nulla su cui si è basata questa campagna elettorale. Ma, nonostante nessuno abbia voluto intestarsi la patata bollente, passate le elezioni a qualcuno prima o poi toccherà dire qualcosa. Ammesso che la situazione non esploda prima.

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