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Perché Virginia Raggi non si definisce “sindaca”?

In un momento storico in cui le pari opportunità sono ancora una chimera considero questa, una notizia dal valore straordinario” ha detto Virginia Raggi da neo sindaca. Ma perché si ostina ancora a chiamarsi al maschile?
A cura di Sabina Ambrogi
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Tra i vari dati di questi risultati elettorali ci sono gli elementi di rottura che somigliano, stavolta sì, a una vera rottamazione e non alla fase terminale di un'era politica: l'ingresso delle donne in due città così importanti come Torino e Roma. Anche durante il primo turno a Roma, Giorgia Meloni ha rappresentato una bella novità: era un donna, da sempre politica, con una carriera alle spalle di tutto rispetto (a prescindere dal fatto se fosse o meno condivisibile).

Emerge dunque qualcosa di fresco, di sano e di diverso, una vera idea di novità che mette in luce quanto poco si siano intercettati e capiti i cambiamenti culturali in corso, nel passato, quanto sempre ambigue siano percepite le ministre "nominate dall'alto" che paiono così poco autonome.  Tuttavia, e proprio per questo anzi, ha da subito colpito che Virginia Raggi stessa,  regina indiscussa del cambiamento, si sia presentata ieri davanti alle telecamere per il suo primo discorso da sindaca (ripostato poi su Facebook), auto definendosi “il sindaco”. Il sindaco di tutti.

Che forza avrebbe avuto, dal punto di vista della comunicazione, dire: “sono la sindaca di tutti” mettendo una pietra tombale su ogni possibile distinguo. Non si poteva scrivere meglio quel discorso? Inoltre in una fase di transizione culturale così legata ai temi di genere poteva anche passare inosservato e snervante solo per “le solite femministe” se poi lei stessa non avesse enfatizzato:

In un momento storico in cui le pari opportunità sono ancora una chimera considero questa, una notizia dal valore straordinario. Il primo segno del profondo cambiamento che stiamo portando in questo Paese. Perché se la Capitale d’Italia avrà per la prima volta nella sua storia un sindaco donna, questo lo si deve al M5S. Lo si deve a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Sarò il sindaco di tutti, sia chiaro, anche di coloro che non mi hanno sostenuto in questa tornata elettorale.

Ai due ultimi da lei citati, se si possono riconoscere dei meriti non sono certo quelli di avere una visione del mondo focalizzata sull'uguaglianza di genere. Anzi. Più volte Grillo si è trovato al centro di esternazioni maschiliste: una per tutte Federica Salsi, consigliera comunale del Movimento Cinque Stelle a Bologna, era finita nel mirino dell'ex comico, dopo la sua partecipazione alla trasmissione televisiva “Ballarò”. “I talk show sono il vostro punto g”… disse Grillo. Ancora una volta le donne relegate al corpo e alla biologia (oltre al fatto che il punto g neanche esiste).

Secondo: ringraziare due uomini per aver dato la possibilità di ottenere “pari opportunità” è appunto una negazione della pari opportunità che non dovrebbero essere “permesse” da qualcuno che detiene già un potere, ovviamente maschio, ma dovrebbero essere introiettate culturalmente e percepite da tutti come esigenza di progresso.

Terzo, l'autodefinzione al maschile nega ancora una volta il concetto di pari opportunità. Nominare un ruolo istituzionale significa avere coscienza della propria esistenza autonoma e indipendente all'interno di quel ruolo. E il primo passo per farselo riconoscere. E' vero che la professione di “sindaco” detta al femminile può sembrare una insopportabile forzatura, e suona strana ma proprio qui è il discrimine: la grammatica italiana lo consente, ma  la resistenza all'uso effettivo nel linguaggio comune avviene per mancanza tradizionale del designatum. Ora che esiste, ed è donna,  ora che c'è un cambiamento storico, perché ancora non ce la facciamo? Perché questa resistenza viene ancora dalle donne? In passato Irene Pivetti richiedeva per sé di essere chiamata il presidente. Rifiutavano le versioni femminili della propria carica il ministro Stefania Prestigiacomo, e il senatore Ombretta Colli, viceversa, rivendicava il titolo di ministra Barbara Pollastrini.

Anche durante la sua campagna, Raggi, si è sempre auto definita così. Il candidato sindaco. E ovviamente la stragrande maggioranza dei media così l'hanno definita. Questo a dispetto di corsi di campagne istituzionali, di raccomandazioni… I media completano la questione: quando Raggi si presentava per i suoi interventi tv veniva rilevato l'abbigliamento, le calze, la lunghezza della gonna, cioè quell'universo di cose alle quali le donne culturalmente dovrebbero appartenere. E che in genere è uno spazio rosa.

La prima pagina del quotidiano il Tempo di oggi, dimostrando un livello straordinario di arretratezza, la rappresenta con le gambe di Barbie, rosa fucsia, spalancate, che strappano il logo del PD. Il titolo? “In bambola”. Un'oscenità da brivido. Il vice presidente Gasparri tempo fa aveva twittato una immagine di lei, come un pupazzo con delle molle che uscivano da ogni parte. Arti spezzati, busto amputato. Ancora una scelta di raccapricciante ignoranza. E chissà quante se ne deve aspettare Virginia Raggi, detta ovviamente, in quanto donna, solo Virginia.

Se non parte innanzitutto da lei, come si fa? Anche quando giunse il tempo della successione di Alemanno, un'altra donna (per il PD)  si era candidata: Patrizia Prestipino. E se anche in quel contesto era apprezzabilissimo che si fosse messa in gara assieme agli altri tradizionalmente solo uomini, la sua comunicazione fu uno sfacelo sul piano dei codici e dei messaggi che avevano stroncato tutte le velleità di votarla da parte dell'elettorato femminile,  che poteva essere, invece, tutto dalla sua parte. Il poster 100 x 140 la rappresentava bionda platino, giacca sulla spalla con la scritta “L'uomo giusto per Roma”. Le sue dichiarazioni ancora più insensate e paurose:

In un momento di grande smarrimento della politica pensiamo che l'uomo giusto per Roma debba essere prima di tutto, coraggioso, leale e onesto. Quindi l'uomo giusto per Roma è una donna… Ormai le donne hanno le palle (come me) e quindi il maschio della situazione ha i capelli lunghi biondi, fa la prof di liceo e ama gli animali.

Quando arriva dunque il tempo in cui le donne stanno benissimo nei propri panni e con il proprio apparato riproduttivo, senza doverlo mutuare dai maschi non appena compiono un impresa?

E sì ha ragione Virginia Raggi: le pari opportunità sono una chimera. Speriamo che le incarni nelle future azioni, lei per prima.

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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