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Parla il killer pentito Giancarlo Orsini: “Una parte di me voleva rimanere umana”

Giancarlo Orsini, 48 anni e originario di Primavalle, quartiere alla periferia nord della Capitale, è diventato un collaboratore di giustizia dopo essere stato tra i protagonisti dell’ultima stagioni di omicidi e agguati che ha insanguinato Roma. Killer di professione, oggi alcuni stralci dei suoi interrogatori diventano di pubblico dominio.
A cura di Valerio Renzi
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Giancarlo Orsini, 48 anni e originario di Primavalle, quartiere alla periferia nord della Capitale, è diventato un collaboratore di giustizia. Ora lui e la sua famiglia vivono coperti da un programma di protezione ma prima è stato un killer di professione, protagonista dell'ultima stagione di agguati, gambizzazioni e omicidi che ha insanguinato Roma. Pagato tra i 3 e i 25mila euro a seconda della ‘commissione' affidatagli, ha confessato tre omicidi e diverse gambizzazioni. Stralci dei suoi lunghi interrogatori sono stati riportati oggi dal Corriere della Sera, restituendo uno spaccato incredibile della mala romana e dei sentimenti di un killer professionista.

"La mia compagna era la vittima mia – spiega Orsini -, nel senso che mi vedeva… mi chiudevo in camera, studiavo. Tutte cose assolutamente… dal cambiamento del clima alla numerologia, mi davo le mie ragioni. Ero appassionato di tante cose agli antipodi di quello che facevo. Il cialtrone con quello che ancora riuscivo a fare. Ma era sempre una scusante per tenermi in piedi. Perché in verità, droga o no, nessuno fisicamente normale avrebbe retto il ritmo che avevo io". "C’erano sempre due parti in me – aggiunge nell'interrogatorio – c’era quello che guardava la cosa a distanza e quello che voleva restare umano".

Orsini viene fermato nel marzo del 2014 con l'accusa di aver freddato con cinque colpi di pistola ciascuno, l'ultimo sempre alla testa, Federico Di Meo (freddato il 24 settembre del 2013 a Frascati), Sesto Corvini (il 9 ottobre del 2013 a Casal Palocco) e Roberto Musci (il 21 gennaio del 2014 a Casalotti). E proprio sull'omicidio di Musci racconta dei tragici particolari: "Quando ci so’ andato ho capito che era una persona… mi è venuto avanti e uno che ti viene addosso quando tiri fuori un’arma, vestito com’ero io, freddo com’ero io, non era uno scemo, era uno che sapeva il fatto suo". E poi il racconto dell'abuso di sostanze stupefacenti per reggere ai ricordi degli omicidi e al senso di colpa: "Dopo l’omicidio mi sono drogato, l’ultimo anno mi sono drogato pesantemente, avevo pure le allucinazioni. Bevevo solo centrifughe, facevo quattro-cinque giorni senza dormire". Ma perché Musci uccideva per vivere? E' presto detto, nessuna vocazione: "Dovevo coprire buffi, venivo dallo sfratto. E comunque la mia era una guerra solitaria".

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