Omicidio Vannini, chieste le condanne per la famiglia Ciontoli: “Silenzio e menzogne per coprirsi”
A quasi tre anni di distanza dall'inspiegabile delitto di Marco Vannini, il 19enne ucciso il 17 maggio del 2015 a Ladispoli, nella villetta della sua fidanzatina, forse potrebbero arrivare le sentenze della Corte d'Assise di Roma: imputata per il delitto tutta la famiglia di Martina Ciontoli, la fidanzatina appunto di Marco. E così per Antonio Ciontoli, il padre della ragazza, indicato come colui che ha sparato al giovane, il pm di Civitavecchia ha chiesto 21 anni e 3 mesi di reclusione per omicidio volontario. L'uomo ha sempre sostenuto che il colpo sia partito per errore, ma le troppe incongruenze e le bugie iniziali di Ciontoli (l'uomo, al 118, aveva detto che il 19enne si era ferito con un pettine) non hanno mai convinto gli inquirenti.
Per la fidanzata di Marco, Martina Ciontoli, così come il fratello Federico e la madre dei due ragazzi, Maria Pezzillo, imputati anche loro per omicidio volontario in concorso, che si sono visti riconoscere le attenuanti generiche, sono stati così richiesti invece 14 anni di reclusione. Per l'ultima imputata, rinviata a giudizio per omissione di soccorso, ovvero Viola Giorgini, la fidanzata di Federico Ciontoli, sono stati chiesti due anni di reclusione.
Durissima la requisitoria finale del pm Alessandra D'amore, che ha messi l'accento sulle bugie concordate dagli imputati (e mostrate da alcuni conversazioni intercettate, rese pubbliche da ‘Chi l'ha visto?'), e sulle "ricostruzioni fuorvianti" di quanto accaduto, tanto che "l'accertamento dei fatti ha risentito di questo atteggiamento", dell'atteggiamento omertoso con cui gli imputati si sarebbero coperti vicendevolmente. Il pm non mette in dubbio che il colpo sia partito per errore, ma "di fronte di uno sparo colposo i quattro hanno scelto di ritardare i soccorsi e fornire ricostruzioni fuorvianti", impendendo così che Marco si potesse salvare. "Hanno taciuto tutti la verità supportando con il silenzio e le menzogne l'operato del padre mentre Marco emetteva urla disumane. – sottolinea il pm – Invece avrebbero potuto chiamare il 118 dicendo subito quello che era successo perché lo sapevano, tutti e quattro, invece hanno scelto di mentire".