Alla fine Ignazio Marino è stato assolto. Assolto "perché il fatto non sussiste" e lo dice la Cassazione: la formula più assolutrice di tutte all'ultimo grado di giudizio. E ora da una parte tutti a spellarsi le mani per dire che forse conveniva essere garantisti (ma non impariamo mai la lezione di esserlo con tutti, però), qualcun altro abbozza timidamente delle scuse (come se davvero il problema di Ignazio Marino fossero degli scontrini non pagati) e in ultimo ci sono quelli che ostinatamente ci vogliono dire che sì, che però Marino ha sbagliato, che si era perfino inventato un invito dal Papa.
Marino è stato assolto ma il Partito Democratico sembra non avere ancora fatto pace con se stesso su quello che avvenne nei convulsi momenti in cui i consiglieri della sua stessa maggioranza si recarono dal notaio (ve lo ricordate? Senza nemmeno una discussione pubblica, un passaggio in consiglio, uno straccio di analisi politica) si dimise facendolo decadere. E c'è un bel dire oggi sul fatto che fosse circondato da persone sbagliate o che non avesse colto i messaggi spia di Mafia Capitale e gli interessi un po' troppo personali di alcuni suoi collaboratori politici. Tutto giusto. Tutto vero. Ma sostanzialmente Marino pagò il fatto di non essere renziano in un momento in cui non essere d'accordo con il capo significava essere spinto ai margini e lui stesso, che politicamente ha dimostrato di essere piuttosto incauto, ha reagito convulsamente facilitando quel processo di isolamento che ne ha facilitato l'uscita di scena.
Nel bel documentario "Roma, golpe capitale" Ignazio Marino racconta, carte alla mano, come stesse faticando a asportare tutte le incrostazioni di una città che è sicuramente la più difficile da governare: un'Atac fuori controllo (eh già, è una storia vecchia, l'Atac), interi servizi scippati alla politica da dirigenti plenipotenziari e un bilancio assolutamente fuori controllo. Non possiamo sapere se Ignazio Marino (non certo aiutato dal suo ego pari forse a quello del capo del suo partito in quel momento) sarebbe riuscito nel suo intento di rimettere in piedi una città che era già in ginocchio ma sappiamo per certo che Ignazio Marino, dal PD, fu lasciato irrimediabilmente solo. E le multe alla Panda in divieto di sosta o la storia (a questo punto inesistente) degli scontrini non possono essere un buon motivo per defenestrare un proprio sindaco appena eletto a guidare la capitale d'Italia in nessun partito serio. Per assurdo, se osserviamo il Movimento 5 Stelle, nonostante le inesperienze e le incapacità, possiamo notare come anche loro abbiamo capito benissimo che difendere Virginia Raggi significhi in fondo difendere se stessi.
Non è solo questione di scuse. L'affare Marino è una delle tante strategie suicide di un PD che in una certa classe dirigente si sentiva assolutamente inattaccabile, E invece ha perso. E Marino è stato assolto. Intanto.