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Mafia Capitale, Massimo Carminati: “La guerra non è finita. Fanno la fila per ammazzarmi”

Per il secondo giorno di fila parla in aula Massimo Carminati, intervenendo soprattuto sul suo passato criminale e di militante della destra eversiva nel processo che lo vede come imputato nell’inchiesta su Mafia Capitale. In aula anche il leader del gruppo estremista ‘Militia’ Maurizio Boccacci.
A cura di Valerio Renzi
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Per il secondo giorno di fila, in collegamento con l'aula bunker di Rebibbia, parla Massimo Carminati, interrogato dai sui legali nell'ambito del processo su Mafia Capitale. Il Cecato parla soprattutto dei tempi passati, continua a costruire la sua aurea di criminale d'altri tempi, tutto d'un pezzo. La banda della Magliana, la militanza neofascista, i conflitti a fuoco e il colpo nel caveau del tribunale di piazzale Clodio a cui, a suo dire, deve la sua ricchezza. Un'epopea criminale che lo ha trasformato nel ‘Nero' di Romanzo Criminale, un capitale di notorietà che ora si spende in aula per provare a raccontare come lui, proprio in quanto appartenente alla vecchia mala, nulla ha a che fare con la corruzione, i rapporti con apparati dello Stato e così via, che lui con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso non ha nulla a che fare.

Ieri Carminati aveva detto di non pentirsi di essere "un vecchio fascista degli anni '70". Così oggi non è passata inosservata la presenza in aula di Maurizio Boccacci, leader dell'oltranzismo di estrema destra. Già leader del disciolto Movimento Politico, poi passato per le fila di Fiamma Tricolore e ora leader di Militia, la sigla nera nota per le sue provocazioni razziste e antisemite.
"C'è stato un solo vero capo della Magliana ed era Franco Giuseppucci, abitava a 50 metri da casa mia, eravamo amici. Poi ho conosciuto anche gli altri, erano bravi ragazzi. Ma io con la droga non ho mai voluto avere a che fare. Tutti i pentiti lo hanno escluso. Io non sono una mammoletta, non facevo certo il fornaio". Spiega Carminati, che poi torna a quel conflitto a fuoco con le forze dell'ordine in cui ha perso l'occhio: "Lo sanno tutti che non è stato un conflitto a fuoco. Ci hanno crivellato di colpi. A me mi hanno sparato in faccia. L'indagine riguardava fatti che mi sarebbero costati tre anni e mezzo di carcere, ma io non discuto. Erano altri anni. Erano queste le regole di ingaggio. Punto. Non sono andato a lamentarmi, a piagnucolare. Mi sono fatto la mia galera, 40 interventi di ricostruzione. Non mi sono nemmeno costituito parte civile contro gli agenti che hanno aperto il fuoco".

Ma per il Nero la guerra non è mai finita, neanche con la fine degli anni di piombo e dopo che la Banda ha chiuso i battenti, lui ha continuato la sua. E ancora una volta Carminati, pur non rinunciando a fare la parte del cattivo, si disegna come un cavaliere senza macchia: "La guerra non è mai finita. Io la faccio da solo la guerra, non c'ho bisogno di nessuno. È sempre meglio fare la guerra solo contro tutti che tutti contro uno. Fanno la fila per ammazzarmi, non c'è problema. Ma sarà dura per tutti. Io sono qui al 41bis, fuori c'è il mondo. Io voglio rispondere in questo processo dei reati che mi sono contestati".

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