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Mafia Capitale, l’ex procuratore Pignatone: “Non è vero che non c’è mafia senza omicidi e attentati”

L’ex capo della procura romana Giuseppe Pignatone, con una lettera a ‘La Stampa’, ha commentato per la prima volta la sentenza della corte di Cassazione su Mafia Capitale. I giudici non hanno riconosciuto l’aggravante mafiosa per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
A cura di Enrico Tata
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L'ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone
L'ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone

Mafia Capitale non è mafia secondo la Corte di Cassazione, che non ha riconosciuto l'aggravante del 416 bis per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Un duro colpo all'impianto accusatorio messo in piedi dall'allora pm Michele Prestipino e dal capo della procura romana Giuseppe Pignatone, che oggi, con una lettera a ‘La Stampa', ha commentato per la prima volta la sentenza. Per Pignatone, in pensione dallo scorso maggio, "Roma non è una città mafiosa perché, a differenza di Palermo, Reggio Calabria e, in modo, diverso, di Napoli, non vede la presenza egemone di una delle mafie tradizionali, ma vi sono – come affermano sentenze di numerosi giudici e della stessa Cassazione – diverse associazioni per delinquere di tipo mafioso e numerosi gruppi di soggetti che operano con metodo mafioso. Alcuni di questi sodalizi criminali sono formati da siciliani, calabresi, campani. Altri da romani, da soggetti provenienti da altre regioni o da stranieri, ma non sono, nei loro ambiti, meno temibili di quelli tradizionali".

Non è vero che non c'è mafia senza omicidi e attentati

Secondo il codice penale, ricorda Pignatone, per riconoscere un'associazione mafiosa "bastano tre persone e l'uso del metodo mafioso, cioè la disponibilità della violenza e la capacità di usarla, così da determinare assoggettamento e omertà per il raggiungimento dei fini indicati dalla legge, che possono anche essere di per sé leciti, ma che diventano illeciti se perseguiti con la forza dell'intimidazione che deriva dal vincolo associativo". Per il nostro ordinamento penale i concetti cardine sono l'utilizzo del metodo mafioso, l'intimidazione e la disponibilità della violenza, e il vincolo associativo. "Per il diritto penale non ha senso quindi affermare – come è stato fatto in questi anni per criticare il nostro operato – che non c'è mafia se non ci sono omicidi, attentati, uso di bombe e raffiche di kalashnikov", ha ricordato Pignatone. Per l'ex capo della procura, con la sentenza c'è stato chi ha esultato per il fatto che, stando alle conclusioni dei giudici, quello di Buzzi e Carminati sarebbe ‘soltanto' un problema di corruzione e a Roma, "secondo costoro, la corruzione c'è sempre stata". Un modo di ragionare, questo, che secondo Pignatone rappresenta "una sottovalutazione della complessiva realtà romana, caratterizzata dalla presenza di criminalità organizzata, anche mafiosa, e da elevatissimi livelli di corruzione e criminalità economica. Così si spiega, per esempio, la gravità del fenomeno della diffusione di stupefacenti". E l'ex procuratore capo fa riferimento all'omicidio di Desirèe Mariottini, a quello del carabiniere Mario Cerciello Rega e a quello recentissimo del 24enne romano Luca Sacchi.

Le mafie a Roma secondo Pignatone

Nel libro ‘Modelli criminali' Pignatone e Prestipino scrivono, ribadendo il loro pensiero sulle ‘mafie a Roma': "Il nostro convincimento è che a Roma e nel Lazio siano presenti e attive, in forme articolate e con modalità operative molto diversifcate, più associazioni di tipo mafoso […]. Certo, Roma non è dominata dalle mafie. […] non è Palermo, piazza a vocazione troppo monopolistica, ed è ancor più grande di Napoli, che pure non poteva essere controllata da una sola organizzazione. Roma è invece “città aperta” (purtroppo anche) per le organizzazioni mafose, che sembrano conviverci, riconoscendosi reciprocamente, per non perdere alcuna potenzialità che la capitale può offrire […]".

E ancora: "La complessità dello scenario criminale romano implica che accanto a quelle componenti che si manifestano come vere e proprie proiezioni delle organizzazioni mafiose più tradizionali, ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa nostra, coesistono e interagiscono altre componenti, strutturate secondo moduli complessi tali da poter essere qualificate a tutti gli effetti sodalizi a carattere autonomo, che, avvalendosi del c.d. metodo mafioso, presentano, a differenza delle prime, le caratteristiche tipiche del modello normativo dell’associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p.".

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