Mafia Capitale, il pm Ielo contro Buzzi e Carminati: “Sono boss è tutto nelle intercettazioni”
Oggi nell'aula bunker di Rebibbia è stata la volta dell'accusa. A prendere la parola Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli . Sono passati oltre due anni dagli arresti che hanno portato alla deflagrazione dell'inchiesta ‘Mondo di mezzo', che ha scoperchiato quell'intreccio tra politica, criminalità e imprenditoria chiamato ‘Mafia Capitale'. Ora la prova più difficile per l'accusa: spuntarla sul 416 bis, ovvero il riconoscimento dell'associazione a delinquere di stampo mafioso per gli imputati. Al vertice del sistema, finalizzato "a corrompere e a turbare le gare d’appalto della pubblica amministrazione", Massimo Carminati, e Salvatore Buzzi, entrambi detenuti in regime di carcere duro al 41 bis. Il ‘nero' di Romanzo Criminale, una vita tra eversione neofascista e criminalità comune, e il ras delle cooperative che stringeva mani a destra e a sinistra.
Processo Mafia Capitale: per i pm le prove sono tutte nelle intercettazioni
Prima di tutto Ielo sottolinea la totale inattendibilità di Salvatore Buzzi, Alessandra Garrone ( la sua compagna) e Massimo Carminati, pronti a rappresentare i fatti secondo la loro convenienza. Ielo poi ha rispedito al mittente l'accusa delle difese di aver abusato dello strumento delle intercettazioni: "L'esercizio dell'azione penale si è collocato per tutte le fattispecie di reato nel solco degli orientamenti giurisprudenziali. Il cuore di questo processo sono le intercettazioni telefoniche e ambientali, che costituiscono una prova autonoma senza bisogno di riscontro. Ascoltatele anche voi e verificate se il tono di quelle dichiarazioni e di quelle conversazioni fosse quello di quattro amici al bar che chiacchieravano". Le prove che Buzzi e Carminati sono veri e propri boss è lì, in quei dialoghi registrati che descrivono la tela e gli affari che gestivano.
"Mafia Capitale, una nuova mafia che non è nuova"
È stata poi la volta del pm Giuseppe Cascini, che è tornato sulla natura di Mafia Capitale. Una "nuova mafia che non è nuova". "Diversa da tutte le altre organizzazioni, perché non è importata ma nasce in questa città", che è cresciuta fino a mettere le mani sugli appalti pubblici. "Non dobbiamo stabilire oggi se c'è la mafia a Roma, sappiamo che c'è – sottolinea Cascini – Lo sappiamo dai processi celebrati ad appartenenti alle cosche e dai sequestri patrimoniali. Dunque non dobbiamo stabilire qualcosa che già si sa, dobbiamo stabilire se questa associazione rientri nel perimetro del 416 bis".
Una pax mafiosa garantita da Carminati, Senese e Fasciani
Se a Roma non si spara, o meglio, si spara meno che in altre città, è proprio per la natura stessa della criminalità organizzata nella capitale, ma anche per una pace stretta ai vertici dagli elementi considerati di ‘garanzia'. "Tutti sanno bene – spiega infatti Cascini – che non ci potrà mai essere nella Capitale un'unica organizzazione che comanda, non ci sarà mai un capo unico. A Roma da decenni vige un patto di convivenza tra organizzazioni autoctone e provenienti dai territori tradizionali. Con uomini che hanno fatto da garante a questa pax, in cui non si ammazza e non ci sono guerre tra bande. Questi uomini sono Carminati, Senese e Fasciani". Il riferimento è al boss della camorra Michele Senese, trasferitosi a Roma ormai nei lontani anni '80 e attualmente in carcere, e a Carmine Fasciani, il boss dell'omonima famiglia di mafia trapiantatasi ad Ostia.