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La delibera contro i mini market è un provvedimento razzista e un esempio di concorrenza sleale

La delibera che mette uno stop all’aperta di mini market e negozi di kebab nel centro storico e a San Lorenzo è un provvedimento dal sapore razzista e che lede il principio della libera concorrenza, tanto sbandierato per ogni altro caso.
A cura di Valerio Renzi
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Per una volta sono tutti d'accordo: maggioranza e opposizione, con qualche distinguo tra chi voleva provvedimenti ancora più draconiani, esultano per la delibera approvata dal consiglio comunale, che mette un freno all'apertura dei così detti ‘mini market' in alcune aree della città, in particolare nel centro storico. Un provvedimento che colpisce in particolare quelle piccole attività commerciali che nella nostra città sono per lo più appannaggio di imprenditori di origine bengalese ed egiziana. Stop anche a negozi di kebab e friggitorie.

Guardando bene il provvedimento – che impedisce le nuove aperture solo di alcune attività all'interno dell'area sotto tutela Unesco e a San Lorenzo per tre anni – sembra ledere però il principio basilare della libera concorrenza: non si capisce perché, mentre le norme di liberalizzazione degli orari del commercio (che hanno permesso ad esempio l'apertura dei supermercati 24 ore su 24) e quelle sulla semplificazione non debbano valere per gli imprenditori che decidono di aprire un negozio di kebab o un negozietto che vende bottiglie d'acqua, birre in bottiglie o verdure.

Secondo gli amministratori, e diversi comitati di residenti, questo tipo di attività sono di scarso valore e portano con loro "degrado", associato ad esempio alla vendita di alcolici a basso costo. C'è poi chi lamenta la "concorrenza sleale" dei mini market o dei negozi di souvenir gestiti quasi sempre da cittadini migranti, che decidono di tenere aperto fino alla notte. Il Campidoglio ha così deciso di normare il boom di questo tipo di attività, al pari di quanto accaduto in altre città.

Ma a guardare bene il provvedimento inserisce elementi di concorrenza davvero sleale: perché i supermercati delle grandi catene possono rimanere aperti fino a tarda notte e un piccolo commerciante no se la legge lo permette? Se è lecito consumare bevande alcoliche in strada, perché non dovrebbe lecito acquistarle per i cittadini dove e al prezzo che preferiscono? Davvero poi artigiani e gallerie sono scomparse del centro storico per colpa dei mini market? La trasformazione del centro storico di Roma è cominciata alcuni decenni fa e si voleva tutelare la presenza di alcune attività commerciali non ci si può svegliare certo adesso.

E infine: se i titolari dei mini market fossero italiani si sarebbe proceduto con l'approvazione di un simile regolamento? Per l'agguerrita lobby dei bancarellari rappresentata dalla famiglia Tredicine l'amministrazione Raggi si è comportata ad esempio in tutt'altro modo, e non è che propongano articoli o un commercio di natura molto diversa. Di fatto si tratta di un regolamento razzista, perché colpisce un tipo di attività caratterizzate da una preponderanza etnica nettissima: sono quei 664 minimarket (dati della Camera di Commercio) gestiti da cittadini bengalesi a dare fastidio, è la capacità imprenditoriale di una comunità migrante (a costo di grandissimi sacrifici e di un intenso autosfruttamento) a discapito degli "italiani" a far storcere il naso.

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