Dopo che tutti hanno parlato di loro, gli abitanti dell’ex Penicillina prendono parola
Dopo che tutti hanno parlato di loro e per loro, gli occupanti dell'ex fabbrica di Penicillina per la prima volta prendono la parola collettivamente. Vogliono uscire dall'invisibilità, chiedono di raccontare le loro condizioni di vita. In questo relitto industriale su via Tiburtina hanno trovato un riparo circa 600 persone, la maggior parte sgomberate dagli insediamenti di via Costi e via Vannina a Tor Cervara. L'area dell'ex fabbrica chimica è sottoposta a sequestro giudiziarip e affidata alle autorità del IV Municipio. Da anni versa in uno stato di abbandono, diventando una vera e propria bomba ambientale per chi la abita e per le migliaia di persone che vivono nei dintorni: residuati di sostanze chimiche sono stoccate all'aria aperta, c'è amianto e immondizia di ogni genere.
Un ghetto insalubre e pericoloso, oltre che una bomba sociale, ultimo riparo per chi non ha altro posto dove andare. Ora lo sgombero è all'ordine del giorno, uno sgombero annunciato dallo stesso ministro Matteo Salvini, e probabilmente senza nessuna alternativa adeguata. Da tempo le associazioni che sostengono con orientamento sanitario e legale chi abita nell'ex Penicillina hanno chiesto che si vada verso un'evacuazione dell'area, per mettere in sicurezza prima di tutto chi è costretto ad abitarvi.
La conferenza stampa nell'edificio ha attratto un gran numero di telecamere e giornalisti, che hanno ascoltato le parole di John, uno degli occupanti, che ha fatto gli oneri del padrone di caso e ha tradotto in italiani gli interventi degli altri abitanti: "Vi rivolgiamo un appello e lanciamo un sos perché verremo sgomberati a breve. Se domani vorrete farci uscire da qui allora dateci un'alternativa. Noi vogliamo uscire da qui ma con una certezza, un alloggio". Raccontano di non voler vivere lì, dei pericoli nell'abitare nella fabbrica, delle difficoltà quotidiane. "Le persone che sono qui sono dovute scappare dalla guerra, hanno avuto una vita dura. Molte persone sono etichettate come delinquenti ma non lo sono, sono solo poveri. Noi non siamo banditi, non siamo criminali, qui abbiamo trovato solo un tetto per dormire perché siamo disperati", aggiunge John.
Alla fine la parola d'ordine dell'evacuazione da contrapporre al paventato sgombero si impone nel discorso, e associazioni e abitanti, almeno quelli che si sono raccolti in quello che appare il nucleo di un comitato, non escludono una manifestazione in Campidoglio nei prossimi giorni. Presente anche Aboubakar Soumahoro, il dirigente dell'Usb già leader delle battaglie dei braccianti nel sud del Paese: "Viene detto prima gli italiani, ma qui ci sono anche italiani. Allora vuol dire che i poveri non ne fanno parte. Le politiche delle ruspe creano illegalità ma noi vogliamo legalità"
"Sessant'anni anni fa questo luogo era un gioiello dove lavoravano 1.600 persone. Da 13 anni qualunque tipo di produzione è finita. Quello che ho visto qui è oltre l'immaginazione", ha spiegato Andrea Turchi, chimico in pensione che ha esplorato la fabbrica."Quello che c'é di terribilmente pericoloso qui dentro è l'amianto in forma disgregata che serviva per coibentare le tubature. Qui non ci sono più finestre e il vento porta l'amianto non solo nelle bocche degli occupanti, ma anche nelle bocche dei cittadini di San Basilio. Ci sono medicinali utilizzati come tappeti per i letti delle persone. Ci sono bottiglie di acido solforico e di ammoniaca piene. Nei sottoscala c'é un magazzino chimico invaso dalle acque e noi non sappiamo cosa ci sia dentro. All'interno del Grande Raccordo Anulare non può esistere un posto ad alta pericolosità ambientale come questo".