Desecretata la relazione prefettizia: il Comune di Roma poteva essere sciolto per mafia
Come chiesto a gran voce da più parti, la relazione prefettizia di accesso agli atti, incaricata di verificare la possibilità o meno dello scioglimento di Roma Capitale per infiltrazione mafiosa, è stata desecretata e resa pubblica. Un testo di 835 pagine redatto per verificare se, all'indomani della scoperta del sistema di mafia capitale, esistessero gli estremi o meno di applicare l'ex articolo 143 comma 2 del testo unico sugli enti locali, quello che appunto rende possibile sciogliere un organo eletto laddove si ravvisi il condizionamento della cosa pubblica a interessi mafiosi.
E la risposta dell'inchiesta firmata dal Prefetto Marilisa Magno, dal funzionario Massimiliano Bardani e dal viceprefetto Enzo Caporale è chiara: il Comune di Roma poteva essere sciolto per infiltrazione mafiosa. Un condizionale d'obbligo: la scelta era nelle mani del ministro degli Interni Angelino Alfano che ha invece deciso di procedere con l'affidamento di poteri straordinari di controllo al prefetto Franco Gabrielli e al commissariamento di singoli dipartimenti e del municipio di Ostia. Ecco come si conclude la lunga disamina della Commissione:
Dalle considerazioni che precedono si desume come i gravi fenomeni di condizionamento della vita politico-amministrativa dell'Ente abbiano indebolito i presidi di legalità di Roma Capitale. Conseguentemente è doveroso sottoporre quanto sopra alle valutazioni degli Organi Istituzionali competenti all'adozione delle misure e dei presidi che, a tal fine, il Legislatore ha prefigurato con l'articolo 143 novellato nel Testo Unico degli Enti Locali.
E qualche pagina prima si può leggere:
Le risultanze info-investigative riportate nella presente relazione, scaturite dalle attività di accertamento svolte dalla Commissione di indagine tratteggiano un quadro probatorio fondato su elementi concreti univoci e rilevanti che evidenzia la capacità del sodalizio di condizionare la regolarità gestionale degli attivi amministrativi comunali e la libera determinazione degli organi elettivi e di rappresentanza, dati che sicuramente offrono solido fondamento all'ipotesi di ritenere che i principi di democraticità di Roma Capitale siano fortemente compromessi.
La relazione ripercorre soprattutto i passi dell'ordinanza dell'inchiesta "Mondo di mezzo" della Procura di Roma, oltre che la relazione della Ragioneria di Stato, passando in rassegna fatti per lo più noti e commentandoli con una robusta dose di riferimenti giurisprudenziali: nessuna "bomba" che ne avrebbe dovuto determinare quindi la segretezza, solo, si fa per dire, quella valutazione finale che pesa come un macigno.
Mafia Capitale è mafia a tutti gli effetti
Per prima cosa la relazione insiste sul carattere mafioso del sodalizio che vedeva al vertice Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Anche se non si tratta delle mafie tradizionali (come Camorra o ‘ndrangheta), secondo la commissione d'accesso agli atti ci sono tutti gli elementi che consentono di individuare un'organizzazione criminale di stampo mafioso tranne uno: il controllo del territorio. Questo perché mafia capitale appare come mafia liquida, che si muove tra piani diversi mettendoli in collegamento, e il territorio che punta a controllare sono proprio i nessi di potere, i gangli decisionali dell'amministrazione.
La debolezza della pubblica amministrazione
Ravvisato il carattere propriamente mafioso del sistema di mafia capitale, la commissione passa in rassegna la pubblica amministrazione. E qui il giudizio è impietoso: passo per passo vengono ricostruiti appalti e nomine inquinati e determinati da interessi economici e politici. Ad essere messa sotto accusa è si una parte rilevante della macchina amministrativa, ma soprattutto lo stesso sistema che, procedendo con regole e modalità scarsamente trasparenti abusando di strumenti emergenziali, avrebbe permesso l'infiltrazione di interessi criminali. Una pubblica amministrazione debole, facile da condizionare e infiltrare.
Mafia Capitale: Ostia, un caso esemplare
Grande rilevanza nel testo redatto dalla commissione ha poi il caso Ostia, come paradigma di controllo delle istituzioni locali da parte delle organizzazioni mafiose e della pervasività del sistema criminale: non a caso proprio il X Municipio, quello di Ostia, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. A fare particolarmente gola alla criminalità organizzata sono gli arenili, ma anche l'assegnazione dei bandi pubblici per la manutenzione. Ad Ostia mafia capitale incontra gli interesse e si spartisce l'influenza con le mafie tradizionali: non è un caso che la prima inchiesta che ha visto utilizzare il reato 416 bis (associazione a delinquere di stampo mafioso) abbia avuto al centro proprio Ostia con l'operazione "Nuova Alba". Un condizionamento così pesante da aver raggiunto non solo singoli esponenti politici e funzionari pubblici, ma lo stesso presidente Andrea Tassone coinvolto nel secondo filone d'inchiesta.