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“Affari con la mafia? Mica siamo il Pd”, disse la Raggi: per i giudici non è diffamazione, archiviata l’indagine

Ieri il gip ha deciso di archiviare l’indagine che vedeva coinvolta la sindaca di Roma Virginia Raggi in merito a un post pubblicato due anni fa su Facebook. Per i pm, la cui richiesta è stata accolta dal giudice, la frase della prima cittadina era “una forma di manifestazione dell’esercizio della critica”. “#Pdrosica”, l’hashtag lanciato dai 5 Stelle su Facebook.
A cura di Enrico Tata
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Virginia Raggi non ha diffamato il Partito democratico quando su Facebook scrisse: "Affari con la mafia? Mica siamo il Pd". Un post pubblicato nell'ottobre 2016 a cui il Pd aveva reagito presentando una querela. Ieri il gip ha deciso di archiviare l'indagine che vedeva coinvolta la sindaca accogliendo la richiesta dei pm. Nel febbraio del 2017 gli inquirenti avevano infatti chiesto l'archiviazione, perché secondo loro le parole della prima cittadina "non costituiscono reato trattandosi di una forma di manifestazione dell'esercizio della critica che muove dall'oggettivo coinvolgimento di alcuni esponenti del Pd nei procedimenti e nei processi cosiddetti di Mafia capitale, nel contesto di una dialettica politica dai toni aspri e assai esasperati, che ha visto la querelata contrapporsi dialetticamente ad esponenti del Pd".

Su Facebook il Movimento 5 Stelle Roma ha annunciato la decisione dei giudici con un post: "Era l'ottobre del 2016 ma il Partito Democratico aveva già dimenticato ‘l'oggettivo coinvolgimento di alcuni esponenti del Pd nei procedimenti e nei processi cosiddetti di Mafia Capitale'. Chi è causa del suo mal si limiti semplicemente a piangere su se stesso. Noi andiamo avanti indisturbati per la nostra strada, per realizzare la nostra rivoluzione normale. Forza Virginia. #PdRosica". Due anni fa fu il tesoriere del Partito democratico Francesco Bonifazi ad annunciare la querela nei confronti della Raggi: "Continua da tempo la pratica dell'insulto e della menzogna da parte degli esponenti del Movimento 5 stelle che puntualmente, una volta chiamati a rispondere delle loro affermazioni, ricorrono a tutti i privilegi per non farsi giudicare. Un conto è il dibattito politico, un altro è diffamare. Il Pd non lascerà passare questa pratica votata all'insulto e all'offesa".

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