Tassista stuprata, la vita di Simone Borgese tra debiti e un matrimonio fallito
“Non mi sono mosso da lì, sono rimasto sempre con la mia bambina, da venerdì a domenica”. Dopo aver violentato la tassista si è chiuso in casa Simone Borgese, cameriere romano di 30 anni. Questo ha raccontato nel corso dell’interrogatorio agli investigatori, poi ha abbassato lo sguardo e ha mormorato: “Non ci ho pensato, ma mi pentirò per sempre di quello che ho fatto”. Ha ammesso tutto, ha raccontato ogni dettaglio di quella drammatica sera.“È stato un raptus. Lei piangeva, le ho detto: “se fai questo non ti succederà niente”. Non volevo, non mi è mai successa una cosa del genere”, ha raccontato.
Sorridente, calmo, sul suo profilo Facebook, che ora è stato chiuso per proteggere lui e la figlia, c’erano tanti selfie, moltissime foto con la sua bambina di sette anni. Questo è il ritratto di Borgese sui social network, una fotografia che però nasconde una vita che non stava andando nel migliore dei modi. Lavorava a chiamata, saltuariamente, faticava a trovare i soldi per mantenersi e il matrimonio con la moglie era fallito da qualche mese. "Una scheggia impazzita, un tipo disturbato e pericoloso proprio perché invisibile, uno che non rimane impresso", lo descrivono i carabinieri. E poi problemi economici, piccoli reati tra cui un furto in autogrill. "Mi sono separato qualche mese fa, questo fatto mi ha scombussolato, da allora non sono più lo stesso. Penso che così siano cominciati i miei problemi. Non ho un euro", ha raccontato ancora agli investigatori.
La sera prima dell'aggressione alla tassista aveva dormito in casa da amici perché aveva fatto tardi al lavoro. "La mattina aspettavo il bus, ma non arrivava e così ho deciso di prendere il taxi. Al volante c’era lei. Le ho detto di portarmi a Ponte Galeria, ma durante il tragitto sono stato preso da un raptus: vicino a casa le ho fatto cambiare strada per arrivare in un viottolo sterrato, isolato, nei pressi di via Pescina Gagliarda. E lì fuori l’ho violentata”.
La madre: “Mio figlio non è un mostro”
“Mio figlio deve pagare per quello che ha fatto. Però vi prego di credermi, vi supplico: Simone non è un mostro”. A parlare, in un'intervista al Tempo, è la madre di Simone Borgese. “Simone è il figlio di un padre alcolizzato, un barbone, un violento con il quale ha vissuto da quando me ne sono andata via di casa nel 2005, stanca di essere picchiata e maltrattata ogni giorno. È un ragazzo che ha sofferto, è quella la causa di tutto. Non è cattivo. Quando me ne sono andata di casa, lui è cresciuto con il padre che ci ha lasciato tantissimi debiti. Si è sentito abbandonato due volte. Prima da me, dieci anni fa, poi dalla moglie. Soffriva da morire”.