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Roma e le primarie più brutte del mondo

Brutte e noiose. Sono le primarie del centrosinistra romano, senza idee diverse sul futuro della città e dove tutti sembrano già sapere chi vincerà. Un copione già scritto che i concorrenti devono solo recitare. E allora come stupirsi che gli elettori non si appassionino?
A cura di Valerio Renzi
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Ieri sono state ufficializzate le candidature alle primarie del centrosinistra . Sei nomi per una competizione che al momento sembra scialba e priva di colpi di scena. Unica novità degna d'interesse la presenza di Chiara Ferraro, giovane autistica candidata per accendere i riflettori sui tagli ai servizi sociali e sui diritti delle persone con disabilità fisiche e psichiche. Il finale sembra già scritto: a vincere sarà Roberto Giachetti, ex capo di gabinetto di Francesco Rutelli, indicato direttamente Matteo Renzi e che ha già incassato l'appoggio dei big del partito romano e del governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Unico sfidante che raggranellerà qualche istanza di dissenso al nuovo corso renziano Roberto Morassut, ex assessore all'Urbanistica con Walter Veltroni, parlamentare di stretta osservanza dalemiana.

Oltre a Morassut e Giachetti altri tre candidati senza idee e in cerca di un po' di visibilità: il senatore democratico Stefano Pedica, Domenico Rossi di Centro Democratico e Gianfranco Mascia dei Verdi. Candidati che non corrono per vincere ma solo per partecipare. Primarie scialbe, senza la sinistra, che ha deciso di andare per la sua strada, e dove non si contrappongono idee diverse per il futuro della città. Certo Morassut ha presentato il suo programma, un po' più di sinistra di quello di Giachetti, ma il copione sembra già scritto, come se il Pd abbia imbastito in fretta e furia una competizione, in cui però si sa già chi vince e dove non ci sono veri avversari. D'altronde Morassut e Giachetti non solo appartengono allo stesso partito, ma hanno già recitato in Campidoglio nella stessa stagione di governo.

Addirittura il commissario del Pd romano e presidente del partito Matteo Orfini, qualche giorno fa ha chiesto più verve ai due principali concorrenti: "Giachetti e Morassut sono due romani che conoscono bene la città, fino adesso è andato bene il fair play ma spero che inizino a scaldarsi e che emergano le loro divergenze politiche e s'infiammi il dibattito”. Come a dire: recitate a voce più alta per far interessare qualcuno allo spettacolo. E anche sulla qualità degli attori ci sarebbe da ridire, visto che nessun fuori classe ha accettato la parte con il rischio di trovarsi di fronte ad una sonora sconfitta.

L'unico che avrebbe potuto portare un po' di sale e pepe è l'innominabile Ignazio Marino. Dopo la sua cacciata dal Campidoglio, con i consiglieri comunali del suo stesso partito in fila dal notaio per mandarlo a casa, l'ex sindaco ha rinnovato la tessera del Pd ma non risparmia di continuare a lanciare delle vere e proprie bombe a mezzo stampa contro il Pd e il premier Renzi. Una settimana fa, intervenendo all'assemblea dei “marziani”, che vorrebbero vederlo correre con una lista civica, Marino ha definito le primarie “una farsa”, invitando gli elettori del centrosinistra a non recarsi a votare.

Al di là degli esiti e dal merito dei candidati, in questi anni le primarie hanno avuto un merito dove hanno funzionato: quello di far confrontare tra loro visioni diverse sul futuro di una città, di far discutere e approfondire, di mobilitare la società. Ma perché ciò accada è necessario che si polarizzino le posizioni, che si alzi la voce e che si propongano idee diverse, che tutti corrano per vincere e non solo per partecipare. Fino ad ora le primarie del centrosinistra romano sono state invece noiose, incapaci di appassionare gli elettori e i cittadini.

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