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Valerio non doveva stare in cella quando si è suicidato: si indaga per omicidio colposo

Sulla morte di Valerio Guerrieri, suicidatosi in carcere a 21 anni, è stato aperto un fascicolo per omicidio colposo. Quando si è tolto la vita non doveva trovarsi in cella: riconosciuto due volte non in grado di intendere e di volere, una perizia indicava l’alto rischio di comportamenti suicidiari.
A cura di Valerio Renzi
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Valerio Guerrieri, si è suicidato a 21 anni lo scorso 24 febbraio nel carcere di Regina Coeli, non doveva essere detenuto. La sua condizione psichica era stata giudicata incompatibile con il carcere, tanto che il 14 febbraio un giudice aveva disposto il suo trasferimento nella Rems (Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) di Subiaco, ma per lui non c'era posto così Valerio rimane in carcere.

Non solo: Valerio era un soggetto fortemente a rischio di comportamenti suicidi e autolesionisti, così come sottolineato in aula dal perito psichiatrico Gabriele Mandarelli proprio il 14 febbraio. Chiamato a deporre dall'avvocato del ragazzo, Claudia Serafini. Perché Valerio stava in carcere allora? Perché non è stato rimesso a piede libero e affidato alla famiglia, non dovendo scontare nessuna condanna, invece di essere ancora detenuto?

Ora sulla morte di Valerio è stato aperto un fascicolo. L'ipotesi di reato su cui indaga il pubblico ministero Attilio Pisani è omicidio colposo. E ora agli atti dell'indagine è finita anche quella perizia, che punta il dito contro il sistema di giustizia che ha tenuto un ragazzo in cella, nonostante fosse riconosciuta da anni la sua condizione di malato psichico, tanto da essere giudicato non in grado di intendere e di volere, per due volte in due diversi procedimenti nel 2014 e nel 2016.

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