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Valerio morto suicida in carcere due anni fa. La madre: “Non doveva essere lì, voglio giustizia”

Valerio Guerrieri non aveva ancora compiuto 22 anni quando si è tolto la vita impiccandosi in una cella del carcere romano di Regina Coeli. Era il 24 febbraio 2017, il giovane viene trovato nel bagno della sua cella con un lenzuolo legato al collo. A due anni da quel fatto sono in piedi due diversi filoni processuali. Da una parte quello che vede coinvolti alcuni agenti di polizia penitenziaria e personale medico del carcere, accusati di omicidio colposo; dall’altro quello relativo al trattenimento senza titolo del giovane all’interno dell’istituto penitenziario.
A cura di Simona Berterame
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Valerio Guerrieri non aveva ancora compiuto 22 anni quando si è tolto la vita impiccandosi in una cella del carcere romano di Regina Coeli. Era il 24 febbraio 2017, il giovane viene trovato nel bagno della sua cella con un lenzuolo legato al collo. Dieci giorni prima il giudice, alla termine del processo che si era concluso con una condanna a 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, aveva revocato la custodia in carcere e deciso per il trasferimento del ragazzo in una Rems (Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza). A Valerio vengono riconosciuti dei problemi psichiatrici e l'incompatibilità con il carcere, oltre ad essere messo nero su bianco il rischio che tentasse di togliersi la vita. Invece rimarrà in cella nell'attesa di un posto libero. "Regina Coeli è un caos. Non ce la faccio. Mi sveglio e soffro. Soffro mentalmente. Mandatemi a casa. Mi curo" queste sono state le ultime preghiere inascoltate di Valerio.

I due processi sulla morte di Valerio Guerrieri

A due anni da quel fatto sono in piedi due diversi filoni processuali. Da una parte quello che vede coinvolti alcuni agenti di polizia penitenziaria e personale medico del carcere, accusati di omicidio colposo; dall'altro quello relativo al trattenimento senza titolo del giovane all'interno dell'istituto penitenziario. "Mentre per il primo filone di inchiesta, quello sull'omicidio colposo, si è già arrivato al rinvio a giudizio degli indagati, sulla questione del trattenimento senza titolo nei mesi scorsi fu chiesta l'archiviazione del caso. Richiesta a cui ci siamo opposti", spiega Simona Filippi, avvocato della madre del ragazzo e dell'Associazione Antigone. "Il giudice – prosegue il legale – ha accolto la nostra opposizione ordinando al PM di iscrivere i presunti responsabili nel registro degli indagati".

La battaglia di Ester, la mamma di Valerio

Ester Morassi, la mamma di Valerio che da due anni lotta per avere giustizia su una morte assurda, ha annunciato la volontà. "La posizione di Regina Coeli non può essere archiviata, sono i primi responsabili – afferma con forza la mamma Ester a Fanpage.it – è il luogo dove mio figlio è stato portato a togliersi la vita. Credono forse che Valerio si sia impiccato in mezzo alla strada?". Ester getta ombre inquietanti sulle ultime ore di vita del figlio: "Prima ha chiesto la terapia del sonno e poi quella del dolore. Perché? Cosa gli è successo in carcere?". Tante domande che finora non trovano risposta: "Perché non c'è una lettera di addio? Non ci credo che mio figlio non ha scritto due righe per la mamma, per la sua famiglia". Le ultime parole ricevute da Valerio risalgono al giorno prima del suicidio, dove in una breve lettera il ragazzo le scrive: "Sto male, sto facendo le fiale per la schiena e non posso comprarmi neanche un pacco di biscotti ma vabbè basta che non sento dolore. Mà ti voglio bene, ti aspetto qui". "La speranza è l'ultima a morire ma non ho più fiducia nella giustizia ormai", conclude Ester.

Antigone: "Persone come Valerio non possono trovarsi in carcere"

Pochi giorni dopo la morte del figlio, Ester si è rivolta all'associazione Antigone, inviandogli la lettera scritta dal figlio qualche giorno prima di suicidarsi."Il caso di Valerio Guerrieri non è l'unico caso di trattenimento illegittimo in carcere di cui abbiamo avuto notizia. Purtroppo, a differenza di altri, è stato però un caso che ha avuto un epilogo tragico" dichiara ancora Patrizio Gonnella. "Per questo siamo impegnati nella ricerca della giustizia. Per Valerio, ma anche per affermare un principio fondamentale, che persone come lui non si possono curare dietro le sbarre, ma le si dovrebbe curare affidandole al sostegno medico, sociale, psicologico dei servizi del territorio".

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