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Uccide i figli a Rebibbia: “Perché non doveva essere in carcere”

Alice Sebesta, la 33enne che ha ucciso i suoi due figli lanciandoli dalle scale a Rebibbia “non doveva essere in carcere”. A dirlo Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio che non condivide la reclusione in carcere disposta dal giudice per la mamma. Secondo la legge 62/2011 infatti, per madri con i bambini piccoli il carcere può essere applicato in misura cautelare solo se sussistono esigenze di eccezionale rilevanza: le alternative sono gli arresti domiciliari o la casa famiglia protetta.
A cura di Alessia Rabbai
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Immagine di repertorio
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Alice Sebesta, la 33enne che ha ucciso i suoi due figli lanciandoli dalle scale a Rebibbia "non doveva essere in carcere". A dirlo Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio che in un'intervista a Fanpage.it ha dichiarato di non condividere la reclusione nella casa circondariale disposta dal giudice per la mamma. Secondo la legge 62/2011, infatti, per madri con i bambini piccoli il carcere può essere applicato in misura cautelare solo se sussistono esigenze di eccezionale rilevanza, per "valorizzare il rapporto tra detenute madri e figli minori" recita il testo. "Il carcere dovrebbe essere adottato nel caso si tratti di una persona pericolosa mentre Alice è stata fermata per spaccio e traffico di droga". In questi casi la legge prevede la possibilità di scegliere pene alternative. Secondo quanto dichiarato dal legale difensore della donna, Andrea Palmiero, in un primo momento è stata rifiutata la richiesta degli arresti domiciliari perché la donna non era provvista di domicilio. Poi, l'avvocato le aveva procurato un posto in cui sarebbe potuta stare insieme ai suoi bambini ma il giudice che ha valutato questa seconda istanza ha stabilito che non era un fatto rilevante e non è stata accettata.

"Il problema riguarda l'interpretazione della legge che consente, favorisce indirizza la custodia al di fuori del carcere per le madri con bambini fino a sei anni".  Oltre che i domiciliari, individua una struttura alternativa al carcere nelle case famiglia protette: ne esiste una sola in tutta Italia ed è a Roma, la Casa di Leda. E qui si apre la questione dei posti e della mancanza di fondi per gestire le strutture. Ma non in questo caso: "Alla morte dei due bambini c'erano 3 posti disponibili su 6" – ha detto Anastasia che ha spiegato – "Succede frequentemente che ci siano posti liberi perché i giudici concedono la casa famiglia in misura solo eccezionale. In realtà dovrebbe essere  il contrario: assegnare il carcere in casi eccezionali".

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