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Sui muri di Roma la pubblicità che insulta le donne: “Sei qui perché tua mamma non ha abortito”

In via Gregorio VII un maxi cartellone di un’associazione antiabortista mette, ancora una volta, sul banco degli imputati le donne che scelgono l’interruzione volontaria di gravidanza, criminalizzando le loro scelte alla vigilia dei 40 anni dall’approvazione delle legge 194 che ha legalizzato l’aborto in Italia.
A cura di Valerio Renzi
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Un maxi cartellone pubblicitario è apparso in via Gregorio VII a Roma sopra il palazzo al civico 58. Un pannello alto 11 metri e largo 7, pagato dall'associazione "ProVita Onlus" per trasmettere il suo messaggio contro l'interruzione volontaria di gravidanza. Il cartello rappresenta un enorme feto e le didascalie: "Tu a undici settimane eri così", "tutti i tuoi organi erano presenti", "il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento", "già ti succhiavi il pollice". E poi lo slogan contro le donne che decidono di abortire: "Ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito".

La pubblicità fa parte di una campagna delle associazione antiabortista, in vista dell'anniversario dei quarant'anni dall'approvazione della legge 194 che ha legalizzato l'aborto in Italia: "La legge 194 – si legge in un comunicato di ProVita – si è preoccupata ben poco di tutelare la maternità, consentendo invece di sopprimere bambini non ancora nati. Dal 1978, sono stati più di 6 milioni quelli uccisi dall’aborto, senza contare le vite che si sopprimono in solitudine, tra le pareti domestiche, con le pillole abortive fra le quali la Ru 486, il ‘pesticida umano', che ha già causato quasi 30 morti anche tra le donne che l'hanno assunta".

Il comunicato stampa riporta poi le dichiarazioni del presidente della onlus, Toni Brandi, che sciorina il classico repertorio delle campagne antiabortiste, parlando in difesa proprio delle future madri, e rappresentando l'interruzione volontaria di gravidanza come di una "condanna a morte prima di nascere", di donne "soggette a ingiuste pressioni ideologiche" e ignare "dei rischi della salute", oltre che ovviamente di uno "Stato che finge di tutelare la mamma ma che non si preoccupa del più debole".

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La campagna pubblicitaria è pensata ovviamente per far parlare di sé, ma varrebbe la pena appuntare la nostra attenzione non tanto e non solo alle implicazioni di rappresentare un feto di 11 settimane come un bambino, equiparando l'aborto a un omicidio, ma sopratutto sul fatto che ancora una volta ad essere messe sul banco degli imputati sono le donne. Quelle stesse donne che denunciano da anni le difficoltà ad abortire in molte regioni italiane – per l'alto numero di medici obiettori – oltre il calvario che la scelta di interrompere la gravidanza rappresenta quando si subiscono forti pressioni all'interno spesso delle stesse strutture ospedaliere a cui ci si rivolge, invece di un adeguato supporto.

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