Sorelle rom arse vive, l’orrore nelle parole del fratello di 6 anni del killer: “Le avete ammazzate”
È la notte del 10 maggio del 2017 quando brucia un furgone alle spalle del centro commerciale Primavera a Centocelle. All'interno vive la famiglia Halilovic, che ha lasciato il campo rom di via Salviati, dove prima abitava per violenti contrasti con un'altra famiglia. Francesca, Angelica ed Elisabeth, tre sorelle di 20, 8 e 3 anni non riescono ad uscire e bruciano vive all'interno del furgone. Un delitto che chocca la città.
Accantonata quasi subito la pista dell'odio razziale, ci si concentra sui dissapori del capo famiglia con altri gruppi di rom. La traccia ben presto si fa certezza e tutti gli indizi portano verso la famiglia Seferovic. Ma i responsabili del rogo, appiccato con il lancio di bottiglie molotov, si allontanano ben presto da Roma. Gli inquirenti lavorano, dispongono intercettazioni e raccolgono informazioni, così dopo alcuni mesi quattro persone vengono arrestate tra Torino e la Bosnia.
Ora, nella fase processuale e nel dibattimento in aula, emerge tutto l'orrore. Uno degli imputati intercettato dice: "Si sono sciolte come candele". Ora emergono le parole del fratello di Ejub Seferovic che ai genitori dice: "Voi le avete ammazzate" e poco dopo "noi le abbiamo bruciate". Neanche un bambino di sei anni stato protetto dalla violenza della faida, e usando quel "noi" si mostra consapevole come quegli omicidi sono un affare di famiglia, che non riguarda e le cui conseguenze non ricadranno solo sugli esecutori materiali. Di fronte alle parole del figlio i genitori non si scompongono e gli rispondono di fare attenzione a quello che dice, illustrandogli poi la versione che bisogna raccontare: "A dare fuoco sono stati il padre e la madre".
Il fratello del bambino è accusato di aver messo in atto l'attentato con le bottiglie incendiarie assieme ad altri due fratelli, anche loro sul banco degli imputati, e alla moglie Lizabeta, l'unica già condannata a vent'anni di reclusione in primo grado. L'intercettazione venuta ora alla luce è contenuta propria nel dispositivo della sentenza di condanna della donna, ora reso pubblico. Le parole del bambino solo la vera prima conferma delle responsabilità nella morte delle tre sorelline.