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Si getta nel Tevere con le gemelline appena nate, il primario un anno dopo: “Ho i sensi di colpa”

È il 20 dicembre del 2018 quando Pina Orlando si getta nel Tevere da Ponte Testaccio con le sue gemelline di pochi mesi, Benedetta e Sara, nate premature. Oggi il primario di terapia intensiva neonatale Giovanni Vento racconta quanto questa tragedia abbia spinto il suo staff e l’ospedale a migliorare: “Noi medici dobbiamo parlare di più con i familiari e non solo quando sono loro a chiederci notizie. Il dialogo deve essere continuo. Dobbiamo vivere le loro emozioni momento per momento”.
A cura di Redazione Roma
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È passato quasi un anno da quando Pina Orlando si è gettata nel Tevere con in braccio Benedetta e Sara, le sue gemelline nate solo da qualche mese. La giovane mamma era rimasta incinta grazie a un intervento di procreazione assistita, dopo aver cercato per anni di avere figli naturalmente. Una gravidanza voluta con tanta forza quanto quella maternità era stata tormentata. Le sue gemelle, come spesso accade nel caso di gravidanze multiple, erano nate premature ed erano state ricoverate diversi mesi in ospedale. Un vero e proprio calvario per i suoi genitori e in particolare per Pina, che non era terminato neanche con la dimissione delle due bimbe dall'ospedale, non essendo ancora scongiurato completamente il rischio che le piccole avessero riportato danni permanenti dovuti a quel parto prematuro. Un peso che la donna non è riuscita ad affrontare, stretta forse dai sensi di colpa e un domani che faticava ad affrontare.

Oggi sulle pagine del Corriere della Sera, Giovanni Vento, primario della Terapia intensiva neonatale del Policlinico Gemelli, parla di Pina e della sua famiglia e di come quel tragico epilogo ancora lo tormenti. "Quando un bambino muore, esaminiamo subito l’intero percorso di cura per capire se abbiamo commesso un errore o sottovalutato una situazione critica. Gli psicologi e lo psichiatra non avevano individuato in quella donna segnali di rischio. Noi neonatologi, fin dalla nascita delle gemelline, avevamo però allertato gli psicologi perché Pina nel parto aveva perso un terzo gemello e ne era uscita scossa. Però non aveva voluto ricorrere al sostegno offerto", racconta il medico.

Un'accoglienza speciale che deve coinvolgere gli psicologi, ma anche i medici per Vento: "La fragilità di madri e padri provati dall’esperienza di un bimbo nato pretermine, che potrebbe non sopravvivere, deve essere intercettata spontaneamente. Nessuno di loro verrà a dirti di aver bisogno. Noi medici dobbiamo parlare di più con i familiari e non solo quando sono loro a chiederci notizie. Il dialogo deve essere continuo. Dobbiamo vivere le loro emozioni momento per momento. Il neonato è un esserino speciale. Compie progressi molto lentamente e all’improvviso regredisce".

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