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Ricatto a luci rosse a Palazzo Chigi: a processo un centralinista per tentata estorsione

Nel mirino dell’uomo rinviato a giudizio due colleghi e amanti, verso cui nutriva risentimenti legati a ragioni di lavoro. Il centralinista aveva registrato un incontro intimo tra l’uomo e la donna sul luogo di lavoro.
A cura di Redazione Roma
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Un ricatto a luci rosse nelle stanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È questa la vicenda raccontata oggi dalle pagine del Corriere della Sera, e che vede come protagonisti due impiegati (diventati amanti), e un centralinista che secondo l'accusa avrebbe ordito il ricatto registrando di nascosto i loro incontri sessuali. Ora l'uomo, 51 anni, è stato rinviato a giudizio dal gip Bernadette Nicotra con le accuse di tentata estorsione e installazione di apparecchiature atte a intercettare conversazioni telegrafiche o telefoniche.

Secondo quanto ricostruito l'uomo, allontanato per il momento dal suo posto di lavoro, avrebbe agito mosso da un risentimento personale nei confronti dei due colleghi, un astio nato per ragioni lavorative legate alla turnazione e al raggiungimento dei benefit economici. Il 51enne avrebbe fatto recapitare in una busta anonima una registrazione audio di un incontro sessuale sul posto di lavoro all'uomo con una collega.

Ovviamente è vietato registrare qualsiasi tipo di conversazione all'interno degli spazi della Presidenza del Consiglio per ovvie ragioni di sicurezza. Al primo messaggio con l'audio ne segue un altro, in cui "l'anonimo" invita i due colleghi a chiedere di essere trasferiti, pena la divulgazione del file. I due amanti però, invece di cedere al ricatto decidono di rivolgersi a un avvocato facendo scattare le indagini che hanno portato all'incriminazione del centralinista.

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