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Omicidio Marco Vannini

Processo Marco Vannini, Federico Ciontoli: “Ho creduto a papà che parlava di uno scherzo”

Al processo bis per l’omicidio di Marco Vannini è intervenuto oggi per una dichiarazione spontanea Federico Ciontoli, figlio di Antonio il principale indagato. “Ho creduto alla versione di mio padre che Marco si era spaventato per uno scherzo. Altro che nascondere qualcosa io ho chiamato i soccorsi”, ha dichiarato il ragazzo.
A cura di Redazione Roma
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Federico Ciontoli depone in aula ( 8/01/2019)
Federico Ciontoli depone in aula ( 8/01/2019)
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È cominciato oggi il processo bis per l'omicidio di Marco Vannini. Oggi in aula è intervenuto Federico Ciontoli, figlio di Antonio accusato di aver sparato per errore a Marco e poi di averne provocato la morte non chiamando i soccorsi.  "È stato fino ad oggi ripetutamente detto, solo sulla base di supposizioni, e questo è presente addirittura in alcuni atti processuali e non solo detto nei luoghi di spettacolo, che anche a costo di far morire Marco, io avrei nascosto quello che era successo", ha spiegato.

Le dichiarazioni di Federico Ciontoli al processo bis per l'omicidio di Marco Vannini

"La verità – ha proseguito il giovane nel corso della sua dichiarazione spontanea – è che io ho chiamato i soccorsi pensando che si trattasse di uno spavento, figuriamoci se non l'avrei fatto sapendo che era partito un proiettile. Se avessi voluto nascondere qualcosa, perché avrei chiamato subito l'ambulanza di mia spontanea volontà dicendo che Marco non respirava e perché avrei detto a mia madre che non mi credevano e di fare venire i soccorsi immediatamente? Vi prego: non cadete in simili suggestioni che non sono totalmente contraddette dalla realtà". – "La prima cosa che mi è interessata quella sera e che qualcuno che sapesse cosa fare potesse intervenire visto che, anche se mio padre diceva di poterci pensare lui, a me dopo un po' non sembrò così. Mio padre diceva che Marco si era spaventato per uno scherzo, e io gli credetti perché non c'era nessuna ragione per non farlo. Non c'era niente che mi spinse a non credere in quello che mio padre chiamò ‘colpo d'aria', del cui significato non mi interessai più di tanto essendo stato solo uno scherzo", ha concluso di fatto puntando il dito contro il padre.

"Sono qui non per paura di essere condannato, ma perché la verità è quello che ho sempre raccontato. Ma questo non era niente rispetto al fatto che per tre interminabili anni sono uscito ogni giorno da casa per andare a lavorare e ho camminato perseguitato dall'immagine di qualcuno che potesse venire e spararmi alla testa spinto da quello che si diceva su di me in televisione. Non che questo non possa avvenire oggi – prosegue – o che io non lo pensi più, ma adesso ho una certezza che rimarrebbe anche se io non esistessi più. Anche se quello che veniamo a sapere, che vediamo, che sentiamo spesso non è la verità, adesso so che di fronte alla verità ogni costruzione crolla".

Federico Ciontoli aveva già letto un suo intervento in Aula

Non è la prima volta che Federico Ciontoli interviene in aula rendendo una dichiarazione spontanea. Già lo aveva fatto l'8 gennaio del 2019, leggendo un intervento in cui prendeva le distanze dalla rappresentazione mediatica che è stata fatta di lui: "Quando seppi di essere stato indagato, fu per me un fulmine a ciel sereno. Davvero potevo agire in modo diverso? Iniziai a ricostruire le condizioni di quella maledetta sera, a rileggere le mie parole e per un lungo periodo ho visto crollare tutte le sicurezze che avevo. Non riuscivo a guardare le persone negli occhi e avevo paura anche ad esistere. Ora invece ho capito che quella figura non sono io, è qualcosa di totalmente costruito e distinto da me. Ciò che ha reso possibile il paragone con una figura così mostruosa è stata la mancata considerazione delle reali condizioni di quella sera, considerazione che è venuta meno sia nel fabbricare una colpa che nel proporre una pena".

I genitori di Marco: "Ci aspettiamo giustizia"

"Ci aspettiamo giustizia e verità per Marco". A dirlo Marina Conte, madre di Marco Vannini, arrivando, assieme al marito Valerio, in Corte d'appello a Roma. Marina Conte ha da poco presentato un libro in cui racconta la storia di Marco ed è tornata a chiedere prima dell'inizio del processo che Antonio Ciontoli sia condannato per omicidio volontario.

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