Processo Marco Vannini, l’accusa: “La famiglia Ciontoli è come un branco”
Al processo per la morte di Marco Vannini oggi è il turno della difesa. L'avvocato Andrea Miroli, legale della famiglia Ciontoli, si è scagliato contro la stampa: "No ai processi mediatici e al tritacarne che è stato generato", ha detto durante la sua arringa. "I miei assistiti sono stati più volte minacciati di morte e non c'è stato mai nessuno che ha voluto parlare del contraddittorio, esprimendo al meglio il diritto di cronaca", ha spiegato l'avvocato. In aula non c'era la famiglia Vannini, che ha scelto di uscire e non ascoltare le ragioni della difesa. Davanti ai giudici era presente, in lacrime, solo Antonio Ciontoli, il capofamiglia accusato di aver sparato a Vannini. Per lui i pm hanno chiesto 21 anni e 3 mesi di reclusione per omicidio volontario. Quattordici anni la richiesta per gli altri imputati: la fidanzata di Marco, Martina Ciontoli, il fratello Federico e la moglie di Antonio, Maria Pezzillo, accusati di omicidio volontario in concorso. Chiesti due anni, invece, per omissione di soccorso per la fidanzata di Federico. Ancora una volta durissime le parole dell'accusa, Celestino Gnazi: "La famiglia Ciontoli è un branco. Hanno scelto di non intervenire non c'è stata nessuna sottovalutazione".
L'inchiesta sull'omicidio di Marco Vannini
L'atteggiamento di Antonio Ciontoli, della moglie e dei figli, che i pm hanno definito ‘omertoso', ha intralciato le indagini su quanto realmente accaduto nella villetta della famiglia a Ladispoli, litorale a nord di Roma. Il colpo che ha ucciso Vannini è partito per sbaglio, hanno ricostruito gli inquirenti, ma "di fronte di uno sparo colposo i quattro hanno scelto di ritardare i soccorsi e fornire ricostruzioni fuorvianti. Hanno taciuto tutti la verità supportando con il silenzio e le menzogne l'operato del padre mentre Marco emetteva urla disumane. Invece avrebbero potuto chiamare il 118 dicendo subito quello che era successo perché lo sapevano, tutti e quattro, invece hanno scelto di mentire", ha sottolineato il pm nel corso della requisitoria. Tale atteggiamento ha impedito di salvare Marco Vannini. Secondo i risultati di una perizia chiesta dalla corte, infatti, "una tempestiva attivazione del corretto iter diagnostico-terapeutico si legge nella relazione – avrebbe garantito a Vannini l'accesso ad un livello adeguato di cure e contrastato l'insorgenza delle complicazioni postoperatorie o dello choc ipovolemico protratto, scongiurandone, con elevata probabilità, la morte. Tale intervento, applicato ad un paziente giovane, con funzioni vitali relativamente stabili, che ne hanno sostenuto la vitalità per almeno 3 ore dal momento del ferimento, nonostante il mancato accesso al livello di cure adeguato avrebbe avuto, con ottime probabilità a breve termine, un impatto altamente positivo per restare in vita".