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Muore di epatite C per una trasfusione di sangue infetto: il figlio risarcito con 330.000 euro

Muore di epatite C a 62 anni per una trasfusione di sangue infetto: 8 anni dopo il ministero della Salute è condannato a risarcire il figlio della donna con 330.000 euro.
A cura di Valerio Renzi
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La madre è morta nel 2009 e ora, dopo otto anni, il figlio è stato risarcito con 330.000 euro dal ministero della Salute. Il tribunale ha infatti riconosciuto il "danno morale" per la scomparsa della madre in giovane età (62 anni) a causa dell'epatite C contratta per delle trasfusioni di sangue infetto. La vicenda giudiziaria è stata riportata dal quotidiano il Messaggero, che spiega come la trasfusione con la sacca infetta risalirebbe addirittura al 1971, ed è avvenuta all'interno della clinica ‘Villa Claudia' di Roma. Questo è solo uno dei tanti casi di decessi legati a trasfusioni con sangue infetto, avvenute lungo gli anni '70 e '80, mentre la malattia si può palesare anche a distanza di decenni, rendendo così difficile la ricostruzione dei fatti e tortuoso l'iter giudiziario.

L'avvocato Renato Mattarelli, che ha seguito il caso, ha spiegato al giornale come si sia potuti arrivare alla sentenza nonostante non ci fosse traccia della cartella clinica della donna:

Erano presenti solo alcuni fogli del ricovero e abbiamo ricostruito con le prove presuntive la sussistenza dei diversi eventi trasfusionali  sulla scorta del principio giuridico della "vicinanza della prova". Ovvero spetta alla struttura sanitaria custodire e rilasciare copia della cartella clinica e lo smarrimento non può ricadere sul paziente, in questo caso l'erede,  che avendo l'onere di provare le trasfusioni, si trova così nell'impossibilità di dimostrare a somministrazione di sangue perché colui, contro il quale agisce ha perso la prova. Se così non fosse, per non essere condannati, sarebbe sufficiente per medici e strutture sanitarie perdere o distruggere la documentazione sanitaria

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