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Omicidio Marco Vannini

Marco Vannini è stato ucciso quattro anni fa, ma i genitori chiedono ancora giustizia

Il 17 maggio del 2015, quattro anni fa, Marco Vannini, che si trovava a cena a casa della fidanzata a Ladispoli, litorale nord di Roma, è stato ucciso. Ferito da un proiettile partito dalla pistola di Antonio Ciontoli e poi morto in ospedale a causa dei ritardi e delle bugie di un’intera famiglia.
A cura di Enrico Tata
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Marco Vannini
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È il 17 maggio del 2015, quattro anni fa, quando Marco Vannini, che si trovava a cena a casa della fidanzata a Ladispoli, litorale nord di Roma, è stato ucciso (qua tutti gli articoli sul caso Vannini). Ferito da un proiettile partito dalla pistola di Antonio Ciontoli e poi morto in ospedale a causa dei ritardi e delle bugie di un'intera famiglia. Marco, è stato dimostrato dalle perizie mediche, poteva essere salvato se solo i soccorsi fossero stati più tempestivi. E invece il ragazzo è rimasto per tanto tempo, ben centodieci minuti, agonizzante in casa dei Ciontoli. Urlava e si disperava mentre gli altri, in una telefonata registrata con il 118, dicevano che il ragazzo si era ferito con la punta di un pettine e che non si trattava di nulla di grave. Per i giudici della corte d'appello Antionio Ciontoli, il papà di Martina, la fidanzata di Marco, non voleva uccidere il ragazzo. Anzi, la sua morte sarebbe stata d'intralcio per il piano della famiglia, una conseguenza non voluta rispetto alla loro intenzione di minimizzare l'accaduto per cercare di salvare il lavoro del capofamiglia. Ciontoli è stato condannato a 5 anni per omicidio colposo dai giudici d'appello. Stesso capo d'accusa per la moglie, il figlio e la figlia. Una sentenza ribaltata rispetto a quella del primo grado, quando i magistrati condannarono Antonio a quattordici anni per omicidio volontario. I pm hanno chiesto alla Corte di Cassazione di cancellare il processo d'appello. Per gli inquirenti Ciontoli e tutti i suoi familiari sono pienamente responsabili della morte di Marco Vannini. Sapevano che poteva morire a causa delle loro bugie e nonostante questo, sostengono i magistrati, hanno continuato con il loro comportamento "omissivo e menzognero".

Quello che sappiamo della notte in cui Marco Vannini morì

Alle 23 del 17 maggio, dopo aver trascorso una serata in veranda a mangiare e a vedere la partita della Roma, Marco Vannini è in bagno a farsi una doccia. Antonio Ciontoli, questa la ricostruzione confermata per il momento dai giudici, entra per recuperare due pistole che aveva sistemato all'interno di una scarpiera. Secondo la versione di Ciontoli, Marco si interessa alle pistole e lui, per gioco, credendo che l'arma fosse scarica, spara un colpo che colpisce il ragazzo al braccio, vicino al torace. Sono le 23 e 15. Alle 23 e 41 arriva la prima telefonata al 118: Federico Ciontoli dice all'operatrice che Marco è svenuto, ha avuto un mancamento, probabilmente per uno scherzo. Poi passa il telefono alla mamma. Lei dice all'operatrice che avrebbero richiamato in caso di necessità.

La seconda telefonata al 118 arriva a mezzanotte e sei minuti, cinquanta minuti dopo il ferimento. Antonio dice che Marco si è ferito con la punta di un pettine. In sottofondo si sentono le grida del ragazzo: "Ti prego… basta, ti prego, basta… basta basta… ti prego, scusa". L'ambulanza arriva a mezzanotte e 23 minuti. Ciontoli parla ancora del pettine. Il ragazzo arriva al pronto soccorso quasi all'una di notte, poco meno di due ore dopo il ferimento. Solo allora Ciontoli parla del colpo di pistola. Marco Vannini muore alle 3 e 10.

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