Ieri a Roma sono stati arrestati tre giovanissimi accusati di aver picchiato selvaggiamente e rapinato almeno quattro persone sugli autobus nella zona di Tor Bella Monaca. Tre delle vittime accertate sono di nazionalità bengalese. Gli aggressori hanno tra i 16 e i 17 anni: salivano sugli autobus, accerchiavano uomini da soli e, dopo averli insultati con frasi razziste, li pestavano con schiaffi, pugni e ginocchiate. Senza alcun motivo. Una dinamica che ricorda molto i cosiddetti Bangla Tour, i raid squadristi che, secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, partivano dalla sede romana di Forza Nuova di via Amulio. A far uscire allo scoperto i Bangla Tour, un ragazzo che all'epoca dei fatti era minorenne. Aveva appena picchiato a sangue con un coetaneo un giovane bengalese, insultandolo per il colore della sua pelle. La vittima, pensando che i due volessero rapinarlo, gli ha consegnato subito il cellulare, buttato poco dopo in un cassonetto. Perché, come nel caso dei tre giovani che hanno picchiato i tre cittadini bengalesi, sul bus, non erano interessati alla rapina: loro, lo smartphone già ce l'hanno. Non si tratta di furto, non hanno bisogno di oggetti. Si tratta solo di fare sfogo alla propria violenza e di un razzismo diffuso che, a differenza di qualche anno fa, non è più nemmeno riconducibile a un'organizzazione e a un partito.
Raid razzisti come rito d'iniziazione neofascista
I due giovani che partecipavano ai Bangla Tour avevano dichiarato che, a fine serata o dopo un attacchinaggio, dovevano andare in giro a cercare dei bengalesi da picchiare per dimostrare il loro "valore". Il motivo di questo target così preciso? La convinzione che gli uomini di questa nazionalità siano tendenzialmente pacifici, poco inclini a reagire ma, soprattutto, a sporgere denuncia. Così da permettere agli aggressori di agire in totale impunità: sempre in gruppo, così da scongiurare una potenziale "sconfitta". Un vero e proprio rito d'iniziazione a cui erano costretti a partecipare i militanti più giovani.
Razzisti: dalle parole ai fatti
Quello documentato invece nell'inchiesta che ha portato all'arresto dei tre giovanissimi è qualcosa di diverso. Non fanno parte di un'organizzazione partitica, non sono militanti di un movimento neofascista. Eppure la notte andavano in giro a picchiare bengalesi sugli autobus per la sola ragione che sono immigrati e di colore. Questi nuovi Bangla Tour ci raccontano una Roma dove chi compie un'azione razzista crede di rimanere impunito. Sono effetto della quotidiana propaganda xenofoba che si fa senso comune. Il razzismo è entrato nelle ossa di questa città e si è diffuso come un veleno: c'è chi lo giustifica, chi si rifiuta di riconoscerlo come tale. Certo è che chi interviene e cerca di combatterlo, viene zittito. Chi prova a difendere qualcuno da un'aggressione, spesso viene a sua volta preso di mira e succede che si decida di girarsi dall'altra parte. Così ora i raid razzisti non sono solo organizzati da formazioni estremiste, ma chiunque sia imbevuto della propaganda xenofoba contro i migranti nelle nostre periferie, si sente autorizzato a dare "una lezione" a chi sta tornando a casa in autobus. Succede che tre ragazzini decidano di passare dalle parole, sentite in televisione o condivise da qualche meme sui social network, ai fatti. E la colpa è prima di tutto di chi ha pronunciato quelle parole di odio, che ha creato il consenso e il senso di impunità di cui sono convinti di godere nelle loro azioni.