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Cene pagate con i soldi del Comune, l’ex sindaco Ignazio Marino condannato a due anni

Ignazio Marino è stato condannato in appello a due anni di reclusione. Accusato di peculato e falso, la corte d’Appello dopo l’assoluzione in primo grado ha deciso la condanna per l’ex sindaco di Roma.
A cura di Enrico Tata
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Aggiornamento: l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino è stato assolto in via definitiva per insussistenza del fatto per l’accusa di peculato in relazione all’utilizzo della carta di credito concessa a fini istituzionali da Roma Capitale (la cosiddetta vicenda “scontrini”). 

L'ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, è stato condannato in appello a due anni di reclusione. Accusato di peculato e falso, la corte d'Appello ha ribaltato la sentenza di assoluzione arrivata nel primo grado di giudizio per l'ex primo cittadino della Capitale in merito al caso scontrini. Accolta la richiesta della procura di Roma. I giudici hanno invece confermato l'assoluzione per la contestazione di truffa in merito al caso della onlus ‘Imagine'. Fra novanta giorni saranno pubblicate le motivazioni della sentenza.

Secondo gli inquirenti Marino ha "utilizzato la carta di credito del Comune per spese voluttuarie al solo fine di soddisfare bisogni personali". Per questo la procura di Roma impugnò la sentenza di assoluzione. Il caso degli scontrini, che costò all'ex sindaco la sfiducia da parte del suo partito, il Partito democratico, e le conseguenti dimissioni riguarda 56 rendiconti di spese in totale, soprattutto cene. Dodicimila euro in totale, i soldi spesi e contestati a Marino.

L'ex sindaco fu assolto il 9 gennaio di un anno fa. Il giudice sottolineò che Marino non aveva commesso alcun reato, ma da parte sua c'era stata "imprecisione e superficialità".  "Il giudicante – si legge nel dispostitivi della sentenza formulata dal gup Pierluigi Balestrieri – ritiene che le evidenze siano insufficienti per ritenere l'indubitabile prova dell'uso privatistico da parte di Marino delle risorse pubbliche affidategli attribuite attraverso la carta di credito. Appare evidente che eventuali errori dichiarazioni giustificative non sono suscettibili di rivestire alcuna rilevanza in questa sede penalistica potendo tutt'al più costituire indice di un sistema organizzativo improntato a imprecisione e superficialità".

La risposta di Marino: "Sentenza politica"

"La Corte di Appello di Roma oggi condanna l'intera attività di rappresentanza del Sindaco della Città Eterna. In pratica i giudici sostengono che in 28 mesi di attività, il Sindaco non abbia mai organizzato cene di rappresentanza ma solo incontri privati. Un dato che contrasta con la più ovvia realtà e la logica più elementare", dichiara Ignazio Marino.  "Non posso non pensare che si tratti di una sentenza dal sapore politico proprio nel momento in cui si avvicinano due importanti scadenze elettorali per il Paese e per la Regione Lazio. Sono amareggiato anche se tranquillo con la mia coscienza – prosegue – perché so di non aver mai speso 1 euro pubblico per fini privati".

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